Racket e violenze, sette arresti: «Al clan il 20% sui guadagni»

Racket e violenze, sette arresti: «Al clan il 20% sui guadagni»
«Il venti per cento dei tuoi guadagni devi darli a me», era la richiesta che avrebbe dovuto sortire l'effetto di imporre il pizzo sui guadagni di una vineria...

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«Il venti per cento dei tuoi guadagni devi darli a me», era la richiesta che avrebbe dovuto sortire l'effetto di imporre il pizzo sui guadagni di una vineria appena aperta da una donna pakistana insieme al suo convivente. E poi minacce anche via whatsapp e infine una rissa e anche un sequestro del compagno della titolare del locale, minacciato con una pistola con colpo in canna.


Una storia che assomiglia a quelle che avvengono in una metropoli come Napoli, o in una città sud-americana. Un pakistano che apre un bar, un gruppo di malviventi che vuole imporre il pizzo. Ma anche un seguito di violenze fisiche che comprendono un pestaggio con mazze e taser (la micidiale pistola che spara scariche elettriche). Lo scenario non è Medellin o Scampìa, ma semplicemente il pieno centro storico di Monteforte Irpino. Vicende che si dipanano tra il 16 e il 17 settembre dello scorso anno e che oggi la procura di Avellino (il fascicolo è nelle mani del procuratore aggiunto Vincenzo D'Onofrio le cui richieste sono state accolte dal gip Gilda Zarrella) trasforma in sette ordinanze di custodia cautelare con accuse che vanno dalla minaccia alla tentata estorsione alle lesioni personali, fino alla più grave di tutte che è il sequestro di persona.
 
È Gianpiero Aufiero l'uomo che chiede il pizzo del 20 per cento a Muhammad Waqas Nadeem. Ma le spedizioni punitive e le minacce non spaventano il pakistano che si rivolge ai carabinieri sia in occasione delle prime minacce direttamente nel locale, sia quando avviene un pedinamento con successivo sequestro da parte di alcune persone, si del titolare del locale che di un suo conoscente da parte di Aufiero e di due persone delle quali è ancora da individuare l'identità. Era il 17 sdis ettembre quando però forse la vicenda assume i connotati di una vera guerriglia urbana come la descrive il gip. E' sempre Aufiero che organizza con la «cerchia di amici» e il cognato Pino Barbaruolo una «brutale aggressione». L'azione che si è svolta nel pieno centro di Monteforte, intorno alle 22,30 assume la forma di una vera battaglia. Da una parte sette italiani, dall'altra sette pakistani che difendono come possono il loro connazionale. Gli italiani hanno la meglio dato che due degli stranieri finiscono in ospedale, dopo l'intervento dei carabinieri, trasportati in ambulanza per le ferite riportate.

Protagonisti i fratelli Ivan e Alessio Di Somma, Francesco Coppola, Saverio Valente, Ferdinando Bianco e altre tre persone che non risultano indagate.

E proprio mentre i carabinieri erano sul posto, arrivavano in auto Barbaruolo e Aufiero che vengono perquisiti a loro volta dai militari.

Il gip descrive la vicenda con parole rese dai testimoni e definite «sconvolgenti». I pakistani raccontano alla polizia giudiziaria la serata «descrivendo un vero e proprio raid punitivo realizzato con taser, pistole, bastoni, spranghe coltelli, suddivisione di compiti e ruoli: una vera e propria azione di guerriglia, senza dubbio programmata».


La ricostruzione della drammatica vicenda è affidata al comando provinciale di Avellino, il colonnello Massimo Cagnazzo ha parlato di metodo camorristico. In realtà la contestazione dell'associazione per i tre non c'è. Ma anche il comandante della compagnia di Baiano Gianluca Candura (che ha coordinato il lavoro del comandante della stazione di Monteforte) conferma che la modalità è propria delle organizzazioni che intendono occupare il territorio. Imporre il pizzo significa definire un'area di controllo. A meno che non si arrivi a dire che il gruppo che ha operato non abbia agito in via esclusiva sul locale appena aperto dai pakistani, ma questo solo lo sviluppo dell'indagine potrà definirlo, senza dubbio si tratta di un gravissimo episodio delinquenziale che getta ombre su un'area della provincia che appariva indenne da fenomeni così pressanti e invasivi come il racket. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino