Terremoto in Irpinia: il paradosso degli edifici ricostruiti, dopo 20 anni sono già vecchi

Ventimila palazzi da completare, il caso Bisaccia vicino agli scavi di Conza della Campania

Una palazzina tra quelle colpite dal sisma
Le pratiche da sbloccare per completare la ricostruzione nell'area del cratere restano. Rappresentano la «copertina» di un libro che non è stato ancora...

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Le pratiche da sbloccare per completare la ricostruzione nell'area del cratere restano. Rappresentano la «copertina» di un libro che non è stato ancora terminato. Sono circa ventimila, numero sufficiente per far gridare allo scandalo o per utilizzare espressioni come «la ricostruzione infinita». Tutto reale, tutto riconducibile alla burocrazia e agli stop and go da parte di vari governi. Ma insieme a questi aspetti, invisibili e composti da carte e progetti nei cassetti, c'è anche un vasto arcipelago di ruderi da cancellare o rimettere a nuovo. Oppure abitazioni ricostruite, che non saranno ruderi ma case inospitali sicuramente. Giovanni Maggino, architetto e coordinatore del gruppo comunale volontari della Protezione Civile di Bisaccia, conosce bene questi problemi. Alcuni esempi sono proprio a Bisaccia. 

O a ridosso della zona archeologica di Conza della Campania. «Rappresentano un problema e un costo per le comunità. Sono edifici che non hanno alcun valore economico, si spendono continuamente fondi per la messa in sicurezza per non creare ulteriori danni a cose o persone, e ci mancherebbe. Ma di sicuro stanno sul groppone dei cittadini spiega -. Però se affrontiamo il discorso dell'eredità del terremoto, questo non è nemmeno l'unico punto critico. Non si contano gli edifici ricostruiti solo venti o venticinque anni fa che risultano già vecchi e parlo sia di edilizia pubblica che privata. Abitazioni colabrodo in alcuni casi e a volte quelle antiche dei centri storici d'Irpinia, in muratura, sono messe meglio. Si parla per esempio di Bisaccia nuova sottolinea Maggino ma ormai impropriamente. Di nuovo c'è ben poco ormai». Ricapitolando: una piccola fetta di ricostruzione non completata, segni evidenti del sisma sparsi qua e là e in qualche caso ciò che è stato costruito sembra già datato. Questo a 42 anni dal tragico evento. «Ereditiamo un patrimonio che ha bisogno di essere riqualificato e mi riferisco pure alle opere di Aldo Loris Rossi per restare a Bisaccia», aggiunge l'architetto, autore tra l'altro del progetto della nuova area Pip di Teora. «Per altre situazioni, e parlo di un intero quartiere mai completato sempre nel paese in cui vivo, si è preferito abbattere e penso sia stato un approccio giusto». 

A Conza della Campania il 26 novembre si celebra la bellezza con l'evento «L'arte di Dalisi-Sul treno di latta». L'evento è promosso dall'ordine degli architetti e uno dei professionisti, Michele Carluccio, ci parla proprio dei ruderi del terremoto in paese. Carluccio ha curato, tra le altre cose, l'ingresso del centro storico nella vecchia Conza. Ma nelle vicinanze, solo parzialmente coperti dalla vegetazione, restano ancora i segni della tragedia con diverse palazzine sventrate. «La volontà di intervenire per recuperare quest'area c'è. Non manca la progettazione, che prevede l'intera riqualificazione. A Conza abbiamo tutta l'intenzione di conservare la memoria storica valorizzando l'esistente e ridando dignità ai luoghi. Ma siamo pure alle prese con la lentezza da parte degli enti locali spiega l'architetto conzano -. Parliamoci chiaro, personalmente da tempo non vedo cantieri e movimenti su aree su cui si è già deciso di intervenire. A volte mancano i finanziamenti, altre volte i decreti. Ma il risultato non cambia, i ruderi di Conza o di altre realtà dell'Alta Irpinia sono ancora qui. E se si vuole parlare di valorizzazione, non si può consentire che dentro e a ridosso di un'area archeologica resistano queste criticità». Poi bisogna fare pure i conti con i costi dei materiali da lavoro, aumentati nel prezzario della Regione del 40 per cento in media rispetto al 2021. La ricostruzione è ormai completata in Alta Irpinia, questo lo si ripete da anni. Ma non se si guarda dietro la facciata delle principali piazze dei paesi. E molto lascia pensare che alcune ferite resteranno aperte pure per i prossimi anni.

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Il Mattino