Dodici depuratori sequestrati, 33 indagati, tra i quali un sindaco e due ex fasce tricolori, funzionari comunali, dirigenti e dipendenti di Gesesa e addetti ai laboratori di...
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Gli inquirenti contestano agli indagati, con posizioni differenziate, i reati di inquinamento ambientale, frode nelle pubbliche forniture, truffa aggravata, gestione illecita di rifiuti, scarichi di acque reflue senza autorizzazione, abuso d'ufficio e falso ideologico. In azione anche i carabinieri forestali del Nipaf di Benevento. Gli accertamenti hanno consentito di riscontrare scarichi dalle fogne del capoluogo e di alcuni comuni nel Calore e Sabato dovuta in alcuni casi all'assenza di depuratori, con immissione di reflui inquinanti direttamente nei corsi d'acqua, e in altri al non corretto funzionamento dei depuratori esistenti da cui uscivano acque gravemente inquinate da solidi sospesi, alluminio e piombo, elevate concentrazioni di azoto ammoniacale e azoto nitrico e di «Escherichia coli» ben oltre i limiti previsti dalla normativa. Per l'accusa tutto ciò è il risultato di una cattiva gestione degli impianti da parte degli indagati, personale della Gesesa (tra gli indagati l'ad Cuciniello e il predecessore Ferrari), società che ha in gestione i depuratori, con la corresponsabilità, in taluni casi, dei responsabili di un laboratorio privato utilizzato per far apparire solo documentalmente i valori «conformi» ai parametri di legge i campioni delle acque di scarico. Gli inquirenti hanno constatato non solo il perdurare dell'inquinamento ma anche il complessivo peggioramento dello stesso rispetto all'epoca in cui non c'erano le apparecchiature, dovuto alle complessive carenze gestionali e impiantistiche dei depuratori ora posti sotto sequestro. Si tratta degli impianti di Benevento in località Ponte delle Tavole, Pontecorvo e Capodimonte; di Telese Terme, in località San Biase e Scafa; di Frasso Telesino, località Arbusti; di Melizzano, località Lago; di Forchia, località Cagni; di Castelpoto, località Portelle; di Ponte, via dei Longobardi; di Sant'Agata de' Goti, località Reullo; di Morcone, zona industriale località Piana. Dalle investigazioni è emerso che alcuni degli indagati non solo, «pur pienamente al corrente del malfunzionamento della maggior parte degli impianti, non adottavano i dovuti provvedimenti ma, addirittura, adottavano espedienti finalizzati a mascherare le inefficienze degli impianti, che finivano così per cagionare ulteriore inquinamento dei corsi d'acqua». I dipendenti indagati di Gesesa secondo l'accusa riuscivano anche «a influenzare in diversi casi pubblici ufficiali, in particolare alcuni sindaci e responsabili di uffici comunali del Sannio che, al fine di evitare sanzioni alla società che gestiva gli impianti, rilasciavano illegittime autorizzazioni, e la Gesesa finiva così con il risparmiare i costi dello smaltimento di rifiuti liquidi che avrebbero dovuto essere prelevati con autoespurgo e avviati al trattamento in impianti terzi con costi aggiuntivi.
Tra i casi menzionati nell'ordinanza del Gip quello del sindaco di Vitulano Raffaele Scarinzi che, secondo l'accusa, con un geometra comunale, per sanare l'assenza del titolo autorizzativo, aveva redatto un'autorizzazione provvisoria allo scarico del depuratore comunale retrodatandola di due mesi. Irregolarità circa un'autorizzazione per un impianto per l'ex sindaco di Frasso Giuseppe Di Cerbo. Inoltre viene contestato ad alcuni dirigenti del Comune di Benevento, Maurizio Perlingieri, Angelo Tuzio e Luigi Panella, di aver redatto un'autorizzazione alla Gesesa in riferimento all'impianto di depurazione di Pontecorvo pur essendo la richiesta presentata in ritardo. Altre irregolarità sono state contestate per l'autorizzazione a firma di Luigi Basile, altro dirigente del Comune di Benevento, all'impianto di Ponte delle Tavole che ha consentito a Gesesa di risparmiare sui costi di espurgo. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino