La Corte di Assise di Appello di Napoli nel processo che vede imputato per omicidio volontario Paolo Messina, 36 anni, imprenditore e manutentore di caldaie per riscaldamento, ha...
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Nell'udienza di ieri mattina davanti ai magistrati della Corte di Appello il difensore di Messina, l'avvocato Angelo Leone, nella sua arringa ha chiesto che i magistrati derubricassero l'accusa da omicidio volontario in quella di omicidio con l'attenuante della legittima difesa. Una tesi che era stata già avanzata in primo grado ma non recepita dai magistrati beneventani. Il procuratore generale nella sua requisitoria aveva chiesto la conferma della condanna emessa in primo grado. Stesse richieste sono giunte dai legali di parte civile che rappresentavano i familiari di Rosiello vale a dire gli avvocati Vincenzo Regardi, Vincenzo Sguera, Massimiliano Cornacchione e Viviana Olivieri che si erano anche opposti alla rinnovazione anche se parziale dell'istruttoria.
Secondo l'accusa Messina aveva prelevato Antonello Rosiello a casa e lo aveva condotto in via Pisacane, dove lo ha ucciso esplodendo tre colpi di pistola. Alla base del delitto la mancata restituzione di quarantamila euro da parte della vittima all'omicida. L'imputato, dopo il delitto, era fuggito bruciando abiti e altri oggetti che potevano far risalire alle sue responsabilità, poi dopo alcune ore si era costituito. È rimasto in carcere fino al gennaio 2015 quando venne scarcerato per decorrenza dei termini di carcerazione non essendo stata conclusa l'istruttoria a livello di Procura. In particolare non era stata esibita nei termini la relazione sull'autopsia.
Poco prima della sentenza di condanna da pare della Corte di Assise beneventana, Messina si rese latitante facendo perdere le proprie tracce. Dopo un mese fu arrestato dagli agenti della Squadra Mobile, della Criminalpol e della polizia croata, in un blitz in Croazia. L'imputato fu ricondotto in carcere in Italia dove è detenuto presso il carcere romano di Rebibbia. Secondo la difesa Messina sarebbe stato minacciato da Rosiello, che avrebbe estratto il revolver. Da qui la reazione dell'imputato che aveva fatto fuoco tre volte, uccidendolo. In primo grado il pubblico ministero Miriam Lapolorcia aveva sostenuto la volontarietà del delitto e aveva chiesto per l'imputato una condanna a trenta anni.
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Il Mattino