Periodicamente tocca fare i conti con i disagi dei treni della linea 1 della metropolitana di Napoli, quella delle belle stazioni d'arte che l'Europa degli esteti ci...
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Se volessimo fare l'elenco dei disagi quotidiani sfileremmo un rosario che costringerebbe i santi in Paradiso a tapparsi le orecchie, perché sarebbero più bestemmie che preci. Già la frequenza ordinaria delle corse è da metropoli levantina. I vettori sono insufficienti, si difende la dirigenza. E poi i tagli. Insomma, la giaculatoria di sempre che fa ridere tutti i diavoli dell'Inferno.
E' che si tratta di un sistema fragile, dove basta un acino di sale in più per rovinare la minestra. Un temporale mediamente violento e dalle vetrate della nuovissima fermata di piazza Garibaldi vien giù il diluvio universale. Un calo di tensione e i treni si paralizzano. Le attese si prolungano, gli appuntamenti saltano e la giornata è inguaiata.
Però via, sono le stazioni più belle d'Europa. Dove, replicano gli astiosi, se devi fare un biglietto di sabato sera puoi stare in fila davanti all'unica macchinetta pure venti minuti, tanto è lunga la coda. Però, sono stazioni che sono finite nelle più prestigiose opere di architettura. Sì, s'impuntano i perenni sfastidiati, ma avete visto come sono ridotte le opere esterne (e qualcuna interna) in fermate come Materdei e Salvator Rosa?
A Napoli impari l'arte, ma non parti, resti sulla banchina ad ammirarla l'arte, a smadonnare, smanettando sullo smartphone che non ha campo e non ti aiuta a ingannare l'attesa infinita e, se hai viaggiato un pochino anche da semplice turista, ti viene da invidiare quelle metropolitane esageratamente anonime delle città europee, dove se malauguratamente perdi un treno, aspetti, se ti va male, due minuti due (e di sera, al massimo, quattro). Metrò costruite per quello che servono: spostarsi in città.
Dicono (e lo ripetiamo anche noi stessi, autoironicamente) che i napoletani preferiscono sempre e solo il superfluo. Paradossi da aforisma. E' che ci danno sempre e solo il superfluo, negandoci pervicacemente il necessario. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino