Prima o poi la stanchezza arriva 

Prima o poi la stanchezza arriva 
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Nel deserto interpretativo che l’editoria sente incombere, gli scrittori dovrebbero rappresentare l’incontro tra visione, strumento – la lingua – e  realtà. Un tempo, Stefano Benni, riusciva non solo a rileggere l’Italia, a rielaborarla in chiave parodistica e a giudicarla con spietatezza, ma anche a prevederne esiti e sviluppi. Poi man mano la sua capacità da mago Baol è andata scemando, la sua visione si è ristretta e la sua lingua impastata. Leggendo il suo ultimo libro, “Cari mostri” (Feltrinelli), inciampando in quelle che Citati chiamerebbe “tematiche benniane”, con una ripetizione da catena di montaggio, viene da chiedersi: Perché? Non aspettare, non scegliere l’autentico, non tutelarsi, avendo un patrimonio di scrittura prezioso. Perché diventare uno scrittore immobile rispetto a una vivacità che fino a un decennio fa era supremazia, prima ancora che disparità. Perché declinarsi nella banalità, inseguendo un impeto che non ha prospettiva, allineandosi a un conformismo domenicale, aggregandosi a quello che avversava, spegnendosi in pagine che non si fanno rileggere. Chissà. 
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Il Mattino