Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle

Quello che mi importa è grattarmi sotto le ascelle
Torna, Charles Bukowski, che poi non se ne è mai andato veramente, per i cento anni dalla nascita. Il problema con le vite come le sue è che non le acchiappi mai...

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Torna, Charles Bukowski, che poi non se ne è mai andato veramente, per i cento anni dalla nascita. Il problema con le vite come le sue è che non le acchiappi mai bene: o troppo su o troppo giù, non avendo un mezzo. E, poi, non bisognerebbe mai ordinare la biografia di uno scrittore che ha passato il tempo a scombinarsela. Per raccontarla bisogna irregolarizzarsi entrando nei suoi passi. Bukowski, tra le tante cose, ha scritto “Post Office”, che distrugge il mito americano del farcela, il lavoro come soluzione, con una tale leggerezza e semplicità che non serve parlarci su. Invece, una graphic novel ne riassume la vita, tra fumetto e pizzini, riducendola e banalizzandola, “Bukowski” (Lisciani libri) di Alessio Romano e Roger Angeles, ne fa un impiegato delle lettere con qualche uscita di testa, con l’intento di avvicinarlo ai ragazzi, forse. Ma serve? Al contrario, in una biografia uscita qualche anno fa: “Tutti dicono che sono un bastardo” (Bietti), Roberto Alfatti Appetiti non semplificava ma restituiva, non riassumeva ma sperperava, avendo appreso la lezione bukowskiana.  
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Il Mattino