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Nonostante il Nobel, Mario Vargas Llosa, continua a divertirsi, giocando con la storia e le sue bugie: apparecchiando un romanzo, “Tempi duri” (Einaudi, traduzione di Federica Niola), che parte da due uomini, Edward L. Bernays e Sam Zemurray, e una compagnia la United Fruit e arriva a un continente e una strategia universale raccontando quello che accadde in Guatemala negli anni Cinquanta. Come una bugia trasformò la storia del paese. Gioca con personaggi veri e aggiunge finzione, si serve di una realtà storica manipolata per restituire la libertà tardiva e almeno romanzesca a un paese defraudato dalla paura e dall’egemonia americana. Al centro c’è Jacobo Árbenz, che prova le riforme, intorno il male e poi omicidi e successioni gradite alla segreteria di stato americana. Soldi, potere, ideali e terra. Llosa, compiendo una operazione manzoniana, si serve del passato, di un caso emblematico e pure poco conosciuto, per raccontare come sia facile cadere preda di paure indotte, false verità, capaci di cancellare un governo democratico con poco, e come di quel poco si possa diventare complici senza accorgersene.
Il Mattino