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Nonostante trasudi Mitteleuropa, e ne racconti bene i dettagli, i caratteri e i pensieri, “Una casacca di seta blu” (Mondadori) di Paolo Frusca, sembra un Moehringer, per i piani di narrazione, l’epica e soprattutto la magia. Il protagonista è Béla Guttmann: per brevità allenatore, ma dovremmo dire stregone, avventuriero, fuggiasco, contrabbandiere, insegnante o personaggio di Sergio Leone, e ancora non basterebbe per i misteri e le bugie, la luce e le ombre, le malefatte e la bontà. Frusca è riuscito ad acchiapparlo con un espediente romanzesco che funziona – dargli un Omero –, e inchiodandolo alle sue imprese ne ha fatto tornare il caratteraccio e le capacità, senza perdersi le tenerezze né tutta la polvere che ha mangiato, e non era per via dei campi. Guttmann è tra i migliori personaggi che hanno fatto la storia del calcio, uno degli allenatori più influenti per filosofia e innovazioni, con già diversi libri alle spalle, ma questo ha gli spigoli e i respiri del vecchio campione ebreo sconfitto che si racconta poco prima d’assentarsi e che a dispetto delle vittorie continua ad essere un fuoriposto.
Il Mattino