Vincino, uno strano tipo di funambolo

Vincino, uno strano tipo di funambolo
La sua iperproduzione non si è mai appesantita, i suoi disegni non hanno mai emanato moralismo, le sue storie laterali volutamente sgrammaticate e dal tratto sporco non...

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La sua iperproduzione non si è mai appesantita, i suoi disegni non hanno mai emanato moralismo, le sue storie laterali volutamente sgrammaticate e dal tratto sporco non hanno mai annoiato perché sembravano esperimenti poundiani, resi pubblici per vanità e voluttà. Appunti presi di continuo, per poi forse divenire definitivi, consegnati alla carta senza mai pensarci troppo, con l’istinto che prevale sulla ragione. Vincino è stato un fondatore compulsivo di giornali (“Il Male” su tutti), un vero e proprio singolare cronista politico, e uno storico involontario della società italiana – non c’è potente che non sia stato ritrattato e preso in giro –. La sua autobiografia – disegnata – “Mi chiamavano Togliatti” (Utet) è un esercizio di satira che parte da lui e avvolge e macina tutto quello che incontra e vive: città e persone, trasformate in caricature e riassunte in una sola battuta, perfetta, in danza. Non era una canaglia, piuttosto un tenero bulimico che amava il potere, ne era attratto essendo allo stesso tempo refrattario e portato all’opposizione, uno strano tipo di minoranza che se ne sta in bilico tutta la vita su un bordo di giornale.
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Il Mattino