Violenza e tortura lo Stato non arretri

Un frame tratto da un video che mostra quanto avvenuto nell'acquario, la stanza con la finestra in plexiglass in cui venivano condotte le persone fermate nella Questura di Verona
«Le violenze in Questura “un modus operandi consolidato”» (Ansa, 7 giugno 2023, ore 18.03) ***...

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«Le violenze in Questura “un modus operandi consolidato”» (Ansa, 7 giugno 2023, ore 18.03)


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L'Italia è come un orologio. Ogni qualvolta accade qualcosa di grave che ha a che fare con la sicurezza e scuote le coscienze dei cittadini, si preferisce guardare il dito e non la luna. E spesso, con l'amplificazione dei mass media, parte la grancassa emotiva, della propaganda di destra e di sinistra, utilizzando vere e proprie armi di “distrazione di massa”. E' facile suggestionare l'opinione pubblica per qualche giorno su un tema, poi i riflettori si spengono e difficilmente rimane qualcosa che inneschi un effettivo processo di cambiamento. 

La gravità di quanto accaduto a Verona, con violenza fisica gratuita posta in essere da alcuni poliziotti della Questura a danno di cittadini fermati, oltre ad altri comportamenti omissivi o di favore posti in essere all'esterno, è anche nei numeri di un'inchiesta supportata da immagini choc e registrazioni. Sino ad oggi arrestati cinque poliziotti, 17 indagati e 23 agenti trasferiti. «Vicende che, ove fossero confermate - ha detto il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi - sarebbero di enorme gravità, lesive innanzitutto della dignità delle vittime ma anche dell'onore e della reputazione di migliaia di donne e uomini della Polizia di Stato che quotidianamente svolgono il proprio servizio ai cittadini con dedizione e sacrificio».

Sarà l'inchiesta a chiarire le singole responsabilità, soprattutto di quei poliziotti indagati direttamente per i reati di violenza e tortura. Sì, tortura, un reato che l'Italia ha introdotto soltanto nel 2017,  dopo  ben 33 anni dalla Convenzione contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. E accade che 6 anni dopo - se ne parla dal marzo di quest'anno - in Parlamento c'è già chi vuole cancellare quella legge che, dalla sua entrata in vigore, ha sì mostrato qualche imperfezione, ma insiste su un principio di fondo sacrosanto che certo non può essere messo in discussione: praticare la tortura non è ammissibile, per nessuno, figuriamoci da chi indossa una divisa.

Ben altro è occuparsi, con serietà e determinazione, dei problemi che apparati dello Stato delegati alla sicurezza e al controllo dei detenuti,  provano quotidianamente sulla propria pelle, minando l'efficacia della loro azione, esponendoli a rischi e conseguenze che sono invece da evitare o, peggio, ad arbitrarie interpretazioni della misura coercitiva che si pone in essere. Poliziotti, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia penitenziaria - che ogni giorno sono alle prese con le enormi difficoltà del proprio lavoro ma onorano la divisa che indossano - hanno bisogno di una crescente attenzione di chi governa, indipendentemente dal colore politico: occorre che ci sia il pieno riconoscimento delle capacità professionali attraverso risorse economiche, formazione continua e di livello, rispetto dei contratti collettivi e tutela dei diritti, nuove assunzioni che facciano fronte ai paurosi vuoti di organico. Poi piena tutela del loro operato, con la consepevolezza che chi è dalla parte dello Stato, nel rispetto della legge, deve avere la tutela che merita.

Torturare, invece, non è consentito. Tornare indietro sul piano della civiltà non è consentito a nessuno. Figuriamoci a chi è incaricato di far rispettare la legge. Sì, la Legge.
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«Chi non è regolato dalle leggi, fa gli stessi errori che la moltitudine sciolta» (Macchiavelli) Leggi l'articolo completo su
Il Mattino