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Audemars Piguet, intervista a Ilaria Resta: «Fiera della mia città e del mio ateneo»

«Se oggi posso dare questo esempio lo devo al duro lavoro e alla capacità di cogliere le occasioni che si sono presentate. E spero di poter accoglierne presto altre»

Ilaria Resta

di Mariagiovanna Capone

domenica 6 ottobre 2024 Ultimo aggiornamento 13:09

Ilaria Resta dallo scorso gennaio è la nuova Chief Executive Officer del celebre marchio svizzero di alta orologeria Audemars Piguet. Laureata in Economia e Marketing all'Università...
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Ilaria Resta dallo scorso gennaio è la nuova Chief Executive Officer del celebre marchio svizzero di alta orologeria Audemars Piguet. Laureata in Economia e Marketing all'Università Federico II di Napoli, la top manager napoletana promette di fondere tradizione e innovazione, e di rafforzare l'empowerment femminile in azienda.

Quali sono le caratteristiche distintive che sente di aver trasmesso ad Audemars Piguet, anche in un'ottica di innovazione?
«Provengo da una realtà molto distante dall'alta orologeria e, forte di un'esperienza lunga 27 anni, maturata in una varietà di settori e aree geografiche, ho la possibilità di vedere questo mondo sotto una nuova prospettiva. Aspetto importante per un settore come questo che, in virtù della sua lunga tradizione, tende a essere percepito come conservativo nel confronto con le altre realtà. La mia vuole essere una prospettiva nuova che vorrei generasse benefici futuri, spingendo l'azienda ad aprirsi a nuove idee e schemi di lavoro. La diversità di pensiero, insieme alla centralità del cliente, sono i punti fermi della mia strategia».

Quali sono le intoccabili pietre miliari di Audemars Piguet?
«Fattore umano, qualità dei prodotti e, alla base di entrambi, l'eredità intoccabile di Audemars Piguet. Una storia di resilienza di due orologieri che, un secolo e mezzo fa, hanno avviato un'attività nella Vallée de Joux di resilienza, ma anche di passione, dedizione al dettaglio e soprattutto di eccellenza nei processi produttivi. Lo spirito di questa tradizione è giunto fino a oggi, e si trova ancora riflesso nella qualità dei nostri prodotti. Ho modo di osservarlo quotidianamente nell'entusiasmo con cui i nostri orologieri si mettono alla prova, alla costante ricerca di nuovi strumenti per migliorare la finitura dei componenti, perfezionare i movimenti, utilizzare materiali innovativi, elaborare complicazioni e calibri. Tutto ciò si riflette anche nell'ambiente di lavoro che stimola grandi idee, crea salde amicizie e legami autentici, in cui non manca un arguto umorismo, la capacità di sdrammatizzare nonostante il contesto di un'azienda di lusso. Valori che riversiamo anche nell'interazione con i clienti».

Sono poche le donne a occupare posizioni di rilievo: ispirandoci al suo esempio, in che modo possiamo favorire la parità di genere nei ruoli esecutivi delle grandi aziende?
«Se oggi posso dare questo esempio lo devo al duro lavoro e alla capacità di cogliere le occasioni che si sono presentate. Penso soprattutto a Procter & Gamble, per cui la diversità costituisce un fattore trainante, che non sta nel numero di quote rosa destinate ai ruoli esecutivi, ma nella volontà di creare un'azienda più solida, più creativa e in grado di generare risultati migliori. Tutto ciò può accadere solo quando la composizione del team esecutivo valorizza la diversità, e il settore orologiero può ancora migliorare sotto questo aspetto. Da donna, e nella posizione che ricopro, sento di avere il privilegio e la responsabilità di aiutare altre donne a superare ostacoli, mettendole nella condizione di occupare posizioni decisionali e avere un impatto. La diversità senza inclusione però non basta: è necessario imparare a rispettare il suo approccio alla leadership. Perciò, per il mio team esecutivo ho scelto donne estremamente capaci e con un elevato background. E spero di poter accoglierne presto altre».

Lei ha studiato alla Federico II di Napoli, l'università pubblica più antica al mondo. C'è qualche ricordo in particolare del suo vissuto accademico?
«Stimo moltissimo l'Università Federico II. Ho studiato al Dipartimento di Economia e ricordo i miei docenti come professionisti di altissimo livello. E, le dirò, la vita universitaria è stata a suo modo una scuola di leadership e determinazione: dato l'alto numero di iscritti, infatti, conquistare un posto in aula al mattino era un'autentica sfida. Ho trascorso 4 anni a contatto di persone eccezionali, la maggior parte delle quali ha avuto carriere davvero fantastiche e tutti noi ex studenti dobbiamo molto alla Federico II, per averci fornito un'istruzione che ci ha garantito un percorso in linea con le nostre aspirazioni. Devo molto alla mia Università: qui ho scoperto la mia passione per il marketing, grazie a un concorso in collaborazione con Kraft, in cui dovevamo realizzare un business plan incentrato sulla maionese».

Le sue radici affondano a Napoli. Quanto di questa identità si manifesta nel suo lavoro?
«Mi piace dire che, prima ancora di essere italiana, sono napoletana. Vado fiera delle mie origini e in particolare del Vomero, il quartiere in cui sono cresciuta. Mia madre, mio fratello e il resto della famiglia abitano ancora lì: nessuno si è mai spostato. A Napoli ci sono le mie radici e non ho dubbi nell'affermare che abitarvi mi ha reso la persona che sono oggi. Il mio spirito imprenditoriale o, diremmo a Napoli, l'essere scafata, deriva proprio dalla capacità di vivere in una città incantevole e al contempo non semplice. Anche le mie abilità di problem solving sono da ricondurre alla mia educazione napoletana: da sempre abbiamo una straordinaria arte di arrangiarci, elaborando soluzioni brillanti ed efficaci per affrontare difficoltà e imprevisti quotidiani. Napoli è poi una città ottimista, sentimento che cerco di portare con me ovunque vada».

Ci torna spesso?
«Almeno due volte l'anno, per festività e vacanze, per ricaricarmi nello spirito. Per me, tornare da dove si è partiti, è un momento significativo, fondamentale per non perdere il contatto con la realtà, coltivare la modestia e riflettere sulla fortuna di quanto ci è stato dato in gioventù. E a me Napoli ha dato moltissimo. Nutro per la mia città una gratitudine sconfinata e spero un giorno di poterla ripagare». 

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