Arma un clan dopo la morte di un parente per droga: spari e pestaggi sul Litorale

Arma un clan dopo la morte di un parente per droga: spari e pestaggi sul Litorale
Un parente muore di droga, s’improvvisa «boss» e fonda una sorta di clan per vendetta. Potrebbe esserci questo dietro il fermento che sta sconvolgendo in questi...

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Un parente muore di droga, s’improvvisa «boss» e fonda una sorta di clan per vendetta. Potrebbe esserci questo dietro il fermento che sta sconvolgendo in questi mesi il Litorale Domitio. Un’atmosfera effervescente che ha già prodotto scoppiettii di inquietanti memorie. Serrande sparacchiate, un paio di pestaggi, due «stese» con un proiettile che ha trapassato la finestra di una casa e solo per caso non ha ucciso nessuno. Sono venti di guerra quelli che sferzano Castel Volturno in questo freddo autunno. Con qualcuno che sta mettendo insieme un piccolo esercito di giovani pronti a tutto, anche a rischiare la vita. E due di loro ci hanno, effettivamente, quasi rimesso la pelle. Perché, in circostanze tutte da chiarire, i due sono rimasti vittime di violenti pestaggi


 

Ma chi sono i nuovi «aspiranti» criminali? Difficile fare ipotesi, almeno difficile azzardarle al di fuori delle poche certezze che le fonti di strada biascicano non senza paura. Il nuovo gruppo è formato da giovani di Castel Volturno, napoletani e nigeriani. Una banda multietnica che farebbe capo a un soggetto pressoché sconosciuto fino a poco tempo fa agli ambienti criminali. Gira un soprannome e circola una storia «romantica» sulle sue evoluzioni malavitose. Con lui che avrebbe, per anni, tentato di salvare un familiare dalla droga, al punto da arrivare a pagare i pusher perché non gli vendessero le dosi e che, quando il parente è morto, ha deciso di cambiare vita e mettersi in prima persona in gioco. Una manovra avventata attuata con molto clamore e che, ovviamente, non è rimasta senza conseguenze. Non è chiaro se gli episodi siano da inquadrarsi in un classico «botta e risposta» da bande rivali o se le rappresaglie siano tutte a senso unico.


 
Oltre le pistole, le mazze e i cazzotti. Quattro contro uno. È accaduto almeno due volte. Le vittime? Un giovane italiano e un nigeriano di trentun anni. Il secondo episodio risale al 26 settembre ed è quello più grave. Il giovane si trovava davanti al Tropical Bar, sulla Domitiana, quando è stato accerchiato da quattro individui di colore che lo hanno preso a pugni e colpito con dei bastoni. Gli aggressori hanno agito a volto scoperto. Al pestaggio, avvenuto intorno alle 22, hanno assistito alcuni testimoni che hanno chiamato i carabinieri. S’indaga per lesioni personali aggravate. Sono, questi, solo alcuni degli episodi più gravi avvenuti nell’ultimo mese. Quattro giorni prima, infatti, ovvero il 23 settembre, intorno alle 18, in via Catania a Pinetamare, è stata esplosa una raffica di colpi di arma da fuoco. Una «stesa». Autori del raid quattro giovani, questa volta di pelle bianca che, anche in questo caso, hanno agito senza coprirsi il viso. Uno dei proiettili ha trapassato la finestra del primo piano di un palazzo, per fortuna senza ferire nessuno. Sono intervenuti i carabinieri. E giù perquisizioni. E in una cabina dell’Enel sono state trovate quattro piante di marijuana. Un sequestro di meno di quattro chili di droga che però s’incastra in uno scenario ben più ampio di indagine, almeno a leggere i segnali che arrivano dalla località rivierasca dove convivono diverse tipologie di crimine organizzato che da anni non entrano in frizione.
 
Nell’ultimo mese, però, dev’essersi rotto qualche equilibrio e l’ennesima emergenza domitiana sembra dietro l’angolo. Il controllo dello spaccio sarebbe il motore della violenza esplosa sul Litorale, benché anche altri motivi starebbero animando questa sorta di nuovo «clan» che tenta di farsi largo. I raid a colpi di pistola di cui si ha notizia sarebbero avvenuti anche ai danni di un paio di esercizi commerciali; serrande crivellate di proiettili, dunque, ma non è chiaro se c’entri anche il racket o se si sia trattato di un’azione tesa a colpire soggetti vicini al gruppo emergente opera di chi, a Castel Volturno, detta legge da anni. Questi ultimi episodi risalgono al periodo compreso tra la fine di settembre e i primi di ottobre. C’è stato poi qualche giorno di calma, fino a domenica, quando il Litorale è tornato a ribollire. Tanto che, all’atto dell’ennesima serie di perquisizioni, i carabinieri hanno arrestato un pregiudicato di venticinque anni che aveva in casa un fucile a canne mozze e dieci cartucce.  

«Il pizzo non lo dovete pagare più, se qualcuno viene a chiedervelo dovete dire che avete già dato i soldi a me». Ma il racket, mister X, in realtà non lo ha chiesto. Di questa strana «comunicazione» riferiscono alcuni esercenti di Castel Volturno. A ridosso della scadenza della «rata» di Ferragosto un soggetto a loro ignoto o comunque mai associato alla criminalità organizzata, si è presentato riferendo che i «vecchi» signori del pizzo, sul Litorale, non contavano più nulla e che, al posto loro, c’era lui.

Il suo movente, benché fuori dai classici canoni criminali, sarebbe «personale». Ha perso di recente un familiare per ragioni collegate all’uso della droga e da quel momento ha deciso di entrare «nella partita». Ma con quale obiettivo? E come? Ma soprattutto, con quali risorse? Su quest’ultima domanda sembrano esserci risposte univoche. Dalla strada si è appreso di una cifra importante frutto di un indennizzo che l’uomo avrebbe incassato e poi utilizzato per armare i suoi e stipendiarli. Alle sue «dipendenze» avrebbe giovani provenienti dal Napoletano, come lui, alcuni ragazzi del posto e diversi stranieri. E, restando sempre nel campo delle ipotesi, si dice che i pestaggi potrebbero anche significare il tentativo disperato di stroncare con metodi «fai da te» lo spaccio sulla Domitiana. Punire, insomma, chi ha venduto la droga al giovane che poi proprio a causa della dipendenza è morto. 
Circolano anche queste voci, che inquadrano gli spari contro le serrande e le case, le stese e i due pestaggi in uno scenario dai contorni definiti, ma ancora tutti da ricostruire. Perché, come è noto, esiste sul Litorale una «vecchia» guardia, ma anche un patto di non belligeranza che regge da anni. Eppure le storie del crimine ritornano. 
Anche il clan La Torre cercò di «eliminare» la droga dal Litorale e a farne le spese furono i pusher di colore. Fu una sorta di pulizia etnica. E di capiclan laureatisi tali per motivi «personali» è zeppa la bibliografia della vecchia camorra. Da Cutolo, il cui primo omicidio nel ‘63 fu dettato da una questione di «rispetto» dopo una lite per viabilità, a Schiavone Sandokan che, si dice, diventò un camorrista dopo che per anni aveva dovuto accettare che il padre, agricoltore, subisse le angherie degli allora signori di Casal di Principe, i Simeone, passando per Luigi Vollaro il Califfo, boss di Portici la cui prima vittima fu l’amante della moglie. E fino a Raffaele Bidognetti, figlio del boss Cicciotto ‘e mezzanotte, che pare si diede al crimine quando la madre morì di cancro: ritenne il medico «colpevole» e lo uccise. 


Carriere criminali, dunque, iniziate per caso e finite al 41bis. È presto per dire se «mister X» abbia strumenti e uomini per imporsi davvero sul Litorale, ma è chiaro che quanto accaduto negli ultimi mesi desta allarme. I sequestri di armi e droga provano che ci sono controlli continui sul territorio. Resta da capire se la situazione è destinata a degenerare o se le velleità del gruppo emergente saranno spente prima con una raffica di arresti.

 

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Il Mattino