Che fine hanno fatto i «padri», architravi e luce della società? Non ci sono, semplicemente. Perché la prima cosa su cui due testimoni del nostro tempo...
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Prima l’ex leader dei metalmeccanici aveva parlato della parabola del figliol prodigo: «Mi ha colpito non solo l’accoglienza che il padre offre al figlio che ritorna ma l’antefatto, cioè la prova d’amore che gli ha dato lasciandolo andar via, una scelta di libertà che vale mille esempi». Su questo fa perno la distanza con Pasolini, il cui «Padre nostro» (in coda al secondo episodio dell’Affabulazione) era servito da esca per il confronto. «La disperazione in Pasolini ha un carattere di assorbenza e di immanenza che chi, come me, crede in un futuro possibile e migliore, non può accettare». Per il regista del «Vangelo secondo Matteo» infatti la speranza era sinonimo di consolazione, di illusione caduca. «Per noi il sole dell’avvenire era ed è un sogno, di quelli però che quando sono condivisi cambiano la storia», ribatte Bertinotti. Come la fede. «Paolo di Tarso diceva di sé sono uomo in questo mondo non di questo mondo, e questo valeva pure per noi, uomini nella società capitalista ma non della società capitalista», chiosa l’ex capo di Rifondazione. Prete e comunista concordano: da solo però l’uomo non si salva. Insieme bisognerà cercare il padre trascendente e insieme bisognerà lavorare per un nuovo inizio.
L’epilogo di «Affabulazione» si svolge in una stazione ferroviaria. Il padre, che è diventato un barbone, parla con un mendicante e ricorda il passato. Ma d’improvviso il fantasma del figlio lo invita a rientrare nel suo vagone: «Sta per piovere ed è quasi notte». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino