Bertinotti-vescovo emerito,
il confronto e la società senza padri

Bertinotti e il vescovo emerito, confronto sulla società senza padri
Bertinotti e il vescovo emerito, confronto sulla società senza padri
di Antonio Pastore
Venerdì 6 Aprile 2018, 20:31 - Ultimo agg. 20:33
3 Minuti di Lettura
Che fine hanno fatto i «padri», architravi e luce della società? Non ci sono, semplicemente. Perché la prima cosa su cui due testimoni del nostro tempo come Bertinotti -laico emblema della sinistra radicale - e monsignor Nogaro («lasciate perdere l’eminenza, padre Nogaro e basta») sono d’accordo è che questo è tempo dell’abbandono e dello smarrimento. L’uno e l’altro, maschere così distanti (la tonaca e bandiera rossa) e invece così vicini ancora una volta ieri sera nel confronto al PalArti di Capodrise in una sala strapiena. Se per Nogaro è il tempo della post-umanità, in cui l’uomo si svilisce rimettendo alle macchine ogni responsabilità, Bertinotti rilancia lamentando come i «padri dello spazio pubblico» si siano dissolti condannando il popolo alla solitudine e alla perdita di ogni dimensione collettiva. È il tempo, incalza l’ex presidente della Camera, del tradimento dei chierici, dell’abdicazione della chiesa al suo ruolo di collante e la riduzione della politica - se tutto va bene - a grigia gestione dell’esistente, «come fanno gli amministratori di condominio». Pungolati dalle domande di Michelangelo Giovinale (direttore della programmazione del PalArti) e dello storico dell’arte Paolo Mazzarella, intervenuti dopo il sindaco Angelo Crescente, i due - intrecciando inediti e personalissimi ricordi familiari alla speculazione teologica e politica - hanno dichiarato che, a dispetto di tutto, non è il tempo della disperazione. Per il vescovo emerito di Caserta si deve riscoprire il forte messaggio di Cristo «grazie al quale Dio è diventato padre». Niente a che vedere con Yahweh, il Dio delle scritture e della tradizione ebraica, potente e non misericordioso, e niente a che vedere neanche con gli esempi che ci offre l’Antico Testamento, come nel caso di Abramo (che anzi Nogaro definisce «traditore della paternità»), o quello spesso esposto dalla Chiesa-istituzione. Cristo ci offre il Dio padre di tutti gli esseri umani. Contro cui scagliarsi in un momento di sconforto («Elì Elì lemà sabactàn») ma a cui ricorrere sempre. «Non è il padre dei credenti, non è l’essere perfettissimo del catechismo, Dio ci ama tutti».

Prima l’ex leader dei metalmeccanici aveva parlato della parabola del figliol prodigo: «Mi ha colpito non solo l’accoglienza che il padre offre al figlio che ritorna ma l’antefatto, cioè la prova d’amore che gli ha dato lasciandolo andar via, una scelta di libertà che vale mille esempi». Su questo fa perno la distanza con Pasolini, il cui «Padre nostro» (in coda al secondo episodio dell’Affabulazione) era servito da esca per il confronto. «La disperazione in Pasolini ha un carattere di assorbenza e di immanenza che chi, come me, crede in un futuro possibile e migliore, non può accettare». Per il regista del «Vangelo secondo Matteo» infatti la speranza era sinonimo di consolazione, di illusione caduca. «Per noi il sole dell’avvenire era ed è un sogno, di quelli però che quando sono condivisi cambiano la storia», ribatte Bertinotti. Come la fede. «Paolo di Tarso diceva di sé sono uomo in questo mondo non di questo mondo, e questo valeva pure per noi, uomini nella società capitalista ma non della società capitalista», chiosa l’ex capo di Rifondazione. Prete e comunista concordano: da solo però l’uomo non si salva. Insieme bisognerà cercare il padre trascendente e insieme bisognerà lavorare per un nuovo inizio. 
L’epilogo di «Affabulazione» si svolge in una stazione ferroviaria. Il padre, che è diventato un barbone, parla con un mendicante e ricorda il passato. Ma d’improvviso il fantasma del figlio lo invita a rientrare nel suo vagone: «Sta per piovere ed è quasi notte».
© RIPRODUZIONE RISERVATA