Questa mattina, finalmente, Itohan ha rivesto ciò che resta del suo bambino. All’istituto di medicina legale di Caserta dove, otto mesi fa, il piccolo è stato...
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Non ci fu dunque colpa medica: lo hanno stabilito i periti dell’Istituto di medicina legale di Caserta che, su disposizione della Procura di Santa Maria Capua Vetere, hanno eseguito sul corpo del piccolo l’autopsia lo scorso 23 novembre. Due giorni dopo il tragico parto. Da quel momento, però, sua madre, la trentaseienne Itohan Osadolor, nigeriana in Italia da quattordici anni, suo figlio non lo ha più rivisto.
A otto mesi dal dramma, il corpo non le è stato restituito. Due giorni fa, la donna ha lanciato un appello e Il Mattino lo ha accolto, interpellando tutte le parti in causa. Dall’ospedale «Sant’Anna e San Sebastiano di Caserta» hanno chiarito che avrebbe dovuto essere Itohan a reclamare il corpo del figlioletto. Cosa che Itohan non ha fatto perché credeva che sarebbe stato l’ospedale a contattarla. Non era così. Ma qualcuno, effettivamente Itohan avrebbe dovuto chiamarla. Ed era il Comune di Caserta. L’avvocato che rappresenta la donna, Domenico Schiavo, ieri ha ritirato il referto autoptico che esclude la colpa medica e ha chiesto delucidazioni in merito al ritardo nella riconsegna della salma.
Dalla direzione dell’Istituto di medicina legale si è dunque appreso che, dopo l’autopsia, l’ospedale avvisò il Comune di Caserta tramire posta pec sia a novembre che nel giugno scorso affinché rintracciasse la madre del piccolo e cosicché la donna decidesse se provvedere autonomamente ai funerali e alla sepoltura o chiedere il supporto del servizio pubblico.
L’avviso, evidentemente, non fu mai recapitato a Itohan tant’è che la donna, in questi mesi, non ha fatto che struggersi sia per le sorti della salma di suo figlio, sia perché non le erano chiari, e sospettava ci fossero delle responsabilità, le ragioni della morte prematura del suo bambino.
Oggi, almeno su questo aspetto, può provare a rassegnarsi Resta la poco edificante vicenda a margine che, forse per un inghippo burocratico, forse per insensibilità, forse semplicemente per inerzia, ha lasciato una madre distrutta dal lutto, che aveva già perduto il figlio neonato, in una specie di limbo per quasi otto mesi. Tutto è bene quel che finisce bene, verrebbe da dire, Ma la storia di David è iniziata male ed è finita peggio. Alla madre, ora, almeno la consolazione di poterlo seppellire secondo il rito cristiano essendo lei credente, e sapere che nessuno avrebbe potuto far nulla per salvare suo figlio. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino