Casal di Principe, denunciò i killer don Diana: «Combatto per riconoscimento status testimone giustizia»

Testimone oculare non ha ottenuto indennizzi per i danni morali e materiali subiti

Una manifestazione in ricordo di don Diana
"Questa storia ha segnato me e la mia famiglia, ma combatto per questo riconoscimento perché penso che sia doveroso da parte delle istituzioni riconoscere persone che...

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"Questa storia ha segnato me e la mia famiglia, ma combatto per questo riconoscimento perché penso che sia doveroso da parte delle istituzioni riconoscere persone che hanno avuto il coraggio di non girarsi dall'altra parte e di resistere".

Lo afferma, in audizione in Commissione Antimafia, Augusto Di Meo, testimone oculare dell’omicidio di don Peppe Diana, il parroco anticamorra ucciso il 19 marzo 1994 a Casal di Principe, raccontando il giorno dell'omicidio, il suo impegno per far condannare i responsabili ma sottolineando che non ha mai ottenuto il riconoscimento dello status di testimone di giustizia né indennizzi per i danni morali e materiali subiti.

L'avvocato Giovanni Zara, che ha accompagnato Di Meo nell'audizione, ha spiegato che quando denunciò l'assassino di don Peppe Diana "la legge che tutela i testimoni di giustizia non esisteva" quindi il suo assistito "non è mai entrato in un programma di protezione".

"In seguito alla denuncia - continua il legale - Di Meo ha subìto danni sia fisici sia economici e finanziari perché aveva un negozio avviato (è un fotografo ndr), si è dovuto spostare in maniera autonoma per poter gestire, fuori regione, la sua attività che non è andata bene e dunque è dovuto rientrare".

Nonostante appelli e petizioni, il riconoscimento dello status non c'è mai stato: "Nel 2017 abbiamo provato a intraprendere la strada di usare la legge che tutela le vittime dei famigliari, individuando il testimone come vittima indiretta della criminalità organizzata ma, presentata questa istanza, la prefettura di Caserta, su richiesta del ministero dell'Interno, ci ha chiesto il quarto grado dei parenti" non solo suoi ma anche "dei parenti di don Peppe, cosa impossibile farla anche per la privacy. Una richiesta anomala. Dopo qualche mese ci arrivò il rigetto perché veniva definita una domanda tardiva".

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Il Mattino