Caserta, 35 arresti e sequestri per 50 milioni: smantellato il sistema appalti dei Casalesi

Caserta, 35 arresti e sequestri per 50 milioni: smantellato il sistema appalti dei Casalesi
Imprenditori Nicola e Vincenzo Schiavone, compaesani e omonimi dei boss dei casalesi, finiscono in cella al termine delle indagini sui presunti appalti truccati all’ombra di...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno

Imprenditori Nicola e Vincenzo Schiavone, compaesani e omonimi dei boss dei casalesi, finiscono in cella al termine delle indagini sui presunti appalti truccati all’ombra di Rfi. A distanza di pochi giorni dal blitz a carico dei Moccia, arriva una seconda ordinanza di custodia cautelare (gip Cervo), a carico di presunti prestanome e colletti bianchi ritenuti in odore di camorra. 

Indagine dei pm Antonello Ardituro e Graziella Arlomede, attenzione rivolta sui fratelli Nicola e Vincenzo Schiavone (entrambi residenti a Posillipo),  non nuovi alle indagini della Dda di Napoli. Partiamo da una premessa: rispettivamente coinvolti nel processo Spartacus (Nicola venne assolto, Vincenzo fu condannato a due anni), i fratelli Schiavone avrebbero negli anni creato una rete imprenditoriale capace di sostenere la famiglia di Francesco Sandokan Schiavone. In cella finiscono anche Dante Apicella, ritenuto a capo di una sorta di sistema imprenditoriale in grado di gestire proventi di commesse imprenditoriale che avrebbero foraggiato il sistema criminale dei casalesi. È in questa indagine che emerge la frase ricondotta ai vertici del clan «abbiamo arato la terra», a proposito dei presunti proventi illeciti assegnati a prestanome all’inizio della loro fenomenologia criminale. 

In una seconda ordinanza di custodia cautelare, finiscono sotto inchiesta Francesco Chianese, dipendente di una banca vesuviana, ritenuto responsabile di aver dato notizie coperte da segreto istruttorio a uno degli indagati nel filone principale, dopo aver ricevuto un decreto di esibizione di atti da parte dei carabinieri. Il dipendente della banca avrebbe informato Crescenzo De Vito, imprenditore finito nell’inchiesta principale che, dopo aver acquisito informazioni riservate avrebbe messo in azione il ruolo di un penalista di Napoli nord e di un maresciallo dei carabinieri: parliamo di Matteo Casertano; e di un maresciallo dei carabinieri (che risulta indagato a piede libero), entrambi compulsati a trovare altre informazioni sul conto dell’imprenditore. Per Chianese è scattato il divieto a esercitare attività bancaria; mentre per De Vito e Casertano scattano gli arresti domiciliari.

Leggi l'articolo completo su
Il Mattino