Delitto Feola, la sentenza: condannato solo il pentito

Delitto Feola, la sentenza: condannato solo il pentito
Assolto con formula dubitativa per non aver commesso il fatto Andrea Cusano, 62 anni, accusato dalla Procura di Napoli di aver partecipato come «specchiettista»...

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Assolto con formula dubitativa per non aver commesso il fatto Andrea Cusano, 62 anni, accusato dalla Procura di Napoli di aver partecipato come «specchiettista» all'omicidio di Vincenzo Feola, ex consigliere comunale e imprenditore di San Nicola la Strada, ucciso il 21 ottobre del 1991 in viale Carlo III, nei pressi dell'Appia Calcestruzzi.

 
Condannato a 15 anni di reclusione il collaboratore di giustizia del clan dei Casalesi, Giuseppe Misso, colui che aveva svelato i motivi dell'omicidio. Questa la sentenza letta ieri mattina in aula nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere, corte di Assise con presidente Giovanna Napoletano, a latere Alessandro De Santis. Cusano, considerato «amico» di Licio Gelli, era difeso dall'avvocato Gabriele Gallo.

Per questo omicidio era stato arrestato dopo le dichiarazioni dei pentiti Misso e Cipriano d'Alessandro. Quest'ultimo, in particolare, aveva svelato: «Vincenzo Feola non volle pagare la percentuale di tangente dal clan che chiedeva duemila lire su ogni metro cubo di calcestruzzo, così venne ucciso». Da qui, l'inchiesta che ha poi portato, 26 anni dopo, a svelare il movente del cold case. Andrea Cusano da ieri è libero, dopo un periodo di obbligo di dimora a Como. Condannato in via definitiva a 18 anni di reclusione per narcotraffico internazionale in un altro processo, era considerato il «braccio destro» di Pasquale Centore. Di omicidio, però, non era mai stato accusato. Almeno fino a questo momento.

Stando alla ricostruzione dalla Dda, Vincenzo Feola, vessato dalle richieste estorsive sia dal clan dei Casalesi che dai Belforte, aveva deciso di non piegarsi alla volontà del clan Bidognetti sul prezzo del calcestruzzo scegliendo di uscire dal Cedic, il consorzio delle aziende di calcestruzzo creato da Bardellino e Schiavone.

Il gruppo di imprese, per intenderci, che in provincia di Caserta aveva il monopolio della fornitura del materiale per l'edilizia e gestiva tutti gli appalti.

Secondo i magistrati dell'Antimafia di Napoli, Cusano (per il quale era stato invocato l'ergastolo dal pm Graziella Arlomede dell'Antimafia) averebbe fornito aiuto logistico al commando che uccise Feola, mentre Misso avrebbe fornito le armi e l'auto con cui è stato commesso l'agguato, come da lui stesso confermato nel corso del processo. I familiari di Feola si sono costituiti al processo con l'avvocato Claudio Pascariello. Nella requisitoria finale il legale aveva aderito alle richieste del sostituto procuratore.

In realtà, quello che si è chiuso ieri è il terzo «troncone» del processo per la morte dell'imprenditore di San Nicola La Strada perché in un primo procedimento, in abbreviato, erano già stati giudicati il boss e capo dei capo del clan dei Casalesi, Francesco Bidognetti, ma anche Cipriano D'Alessandro, Nicola Panaro ed Ettore De Angelis.


La condanna in primo grado è stata poi confermata anche in corte di Assise di Appello a Napoli. Durante il processo, il presunto ex pentito Salvatore Belforte, boss di Marcianise avrebbe però svelato anche un retroscena: «Il clan dei Casalesi - spiegò in aula - voleva gestire la cava di Vincenzo Feola a San Nicola La Strada per smaltire rifiuti speciali, provenienti chissà da dove». La sua versione è agli atti. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino