Il santuario di San Michele chiuso e dimenticato: «Così muore la chiesa dove il mal di pancia svaniva»

Il santuario di San Michele chiuso e dimenticato: «Così muore la chiesa dove il mal di pancia svaniva»
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CASERTA - Una luce nella notte. Una luce che richiama l’occhio da lontano. Lì, sullo spuntone della montagna a sfidare le leggi gravitazionali c’è lui. Abbarbicato al monte Sant’Angelo a Palombara, a 671 metri sul mare, sorge il suggestivo santuario dedicato a San Michele, l’arcangelo venerato dai Longobardi. La sua costruzione risale al IX secolo: mille e più anni di storia per la chiesa di pietra che idealmente abbraccia la valle. Bello da togliere il fiato, ma è chiuso. Ai tanti tra famiglie, ciclisti, coppiette e cuori che si arrampicano fin quassù e si interrogano sulla visita nessuna risposta.

Nessuna informazione, nessuna indicazione. Un portone malandato in ferro e chiuso da un catenaccio certifica la chiusura del santuario dimenticato. A noi apre Agostino Papa, il custode con un nome che è tutto un programma: «Non venivo dal 16 dicembre quando ci fu una messa per un gruppo di ciclisti, da allora è chiuso». L’incuria e il tempo sono fratelli quasi gemelli: la polvere è la padrona assoluta dei 18 banchi di legno e delle 58 sedie sistemate nelle due piccole mininavate della chiesa, sede giubilare nel 2000, dove sono state concesse oltre 100 indulgenze. Le aperture previste sono due: l’8 maggio e il 29 settembre con la celebrazione della santa messa officiata dal vescovo di Acerra. Nel piano superiore la muffa è l’inquilino principale nella maggior parte delle stanze, una delle quali ha anche una finestra «percossa» e piegata dal vento. Pezzi di vetro ovunque. Un luogo che diventa incantato nella sua grotta naturale dove è possibile vedere antiche pitture, e gli affreschi dell’Annunciazione e di Santa Caterina di Alessandria.

Peccato che anche qui una coppia, Paolo e Lucia, sedicenti promessi sposi del nuovo millennio, non ha trovato di meglio che firmare sull’opera d’arte. Con la suggestiva e magnetica «stanza del mal di pancia» dove la tradizione di queste parti racconta che bastava una preghiera, il segno della croce con il passaggio in questa camera, in cui per entrare bisogna abbassarsi, per vedersi annullare i dolori al ventre. Vicino c’è il piccolo campanile con le campane che si suonano tirando una grossa fune, così come un tempo. «Se non suoni le campane non sei venuto a San Michele – racconta Papa – è una tradizione a cui nessuno si sottrae». E quindi al rintocco ecco spuntare nel santuario i visitatori per un giorno: «C’è una messa? chiede una coppia di Arienzo con due bambini – abitiamo qui da sempre ma non lo abbiamo trovato aperto. È bellissimo, peccato non averlo visto». E anche lui non si sottrae al suono della campana. Alla fine Agostino chiude la porta con i suoi ricordi. E il santuario torna ad essere dimenticato.
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Il Mattino