C'è un momento processuale e c'è un momento umano nel processo al sacerdote Michele Barone, come tutte le volte in cui si entra in un'aula di tribunale....
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A febbraio la vittima e Claudia si sono scritte su Instagram. La ragazzina è in casa famiglia dopo che il tribunale l'ha allontanata dai genitori. L'amica riferisce che ora «fuma spinelli», e parla di «visite ginecologiche» dovute all'inchiesta «che l'hanno segnata per sempre». «Non sono più la stessa», avrebbe scritto la vittima a Claudia che risponde: «con Barone non può esserti successo nulla, eravamo sempre insieme». Lo scambio digital-epistolare si conclude quando, il 23 febbraio scorso, il tutore della ragazzina diffida Claudia dal contattare ancora la minore. Storie, insomma, riscritte via chat che da un lato sembrano ininfluenti sulle contestazioni oggetto del processo, dall'altro sono un'arma a doppio taglio. La difesa - Barone è rappresentato da Camillo Irace e Maurizio Zuccaro - potrebbe servirsene per svilire la figura della vittima, proprio nel momento in cui è stato autorizzato l'interrogatorio della minorenne. Ma, quelle conversazioni, provano anche un'adolescenza fortemente compromessa e possono, di riflesso, trasformarsi in un nuovo atto d'accusa nelle mani della Procura diretta da Maria Antonietta Troncone, con i pm Alessandro Di Vico e Daniela Pannone del pool dell'aggiunto Alessandro Milita. Dai dialoghi si potrebbe dedurre infatti anche che la ragazzina è oggi una persona estremamente provata per i maltrattamenti subiti dall'ex sacerdote dei vip, mascherati da esorcismi e benedetti dai genitori. Rituali che il gip definì «torture medievali».
In aula non sono mancati momenti di tensione anche per il rapporto con i media che, sin dal primo momento, hanno avuto un ruolo centrale nello scandalo di Casapesenna. Un caso sollevato da Le iene, che è stato quindi prima mediatico, poi giudiziario. E, lo era, mediatico, prima ancora che Barone finisse in carcere: era già famoso perché onnipresente nei rotocalchi televisivi. Dopo il blitz, gli avvocati non si sono sottratti alla stampa e sono stati ospiti salotti dove il prete era stato di casa. Con l'inizio del processo, si è sbarrato il passo ai cronisti: porte chiuse per tutelare le vittime. Ma ciò non è basta se i difensori attaccano la stampa e chi la informa, dimenticando che il diritto di cronaca sopravvive anche ai processi a porte chiuse.
Tornando alle testimonianze, ancora una volta esce fortemente ridimensionata in ottica processuale la figura di Luigi Schettino, il commissario di polizia. Le due testi interrogate anche dal difensore Carlo De Stavola, hanno riferito che in sei mesi è stato in casa loro per le preghiere solo una volta, alla Vigilia di Natale 2017. E lo prova un messaggio su Whatsapp in cui gli inviano l'indirizzo da raggiungere. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino