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Che questo vitigno sia legato ai Borbone è innegabile e, sottolinea l'autrice, «si deve a loro la costruzione di un'identità territoriale. Avergli dato dignità attraverso il consumo a corte accanto ai vini francesi, insieme alla scelta di inserirlo nella Vigna del Ventaglio, è un segno di grande rispetto nei confronti di questo prodotto. I Borbone lavoravano sulle eccellenze del territorio, così quello del Pallagrello è un progetto all'interno di una visione più ampia». Ma vitigno e vino esistevano già da prima. Piancastelli ricorda, infatti, che «la prima testimonianza del Pallagrello, con questo nome, risale agli inizi del Seicento come grande vino di Terra di Lavoro. Da molti storici è considerata un'uva aminea, quindi veniva dalla Grecia. Si è diffusa nella zona alifana e ha seguito il fiume Volturno sia per la produzione che per la commercializzazione. Un ruolo importante si deve all'abbazia di San Vincenzo al Volturno. I benedettini hanno avuto una funzione rilevante nella viticoltura. Inoltre, la basilica aveva proprietà immense ed era influente anche nel commercio. Il 10 ottobre dell'881 i monaci furono vittime di una strage. All'interno delle cucine dove era stata preparata la loro ultima cena, gli archeologi hanno ritrovato oltre 1400 vinaccioli dell'uva da pasto consumata dai monaci. Considerando il periodo, è plausibile che una di quelle uve fosse proprio Pallagrello: spero che prima o poi qualcuno si occupi dell'analisi del dna per procedere alla comparazione».
Se le prime tracce letterarie risalgano all'inizio del Seicento, vuol dire che questo vitigno era famoso con quel nome già da prima.
Nonostante la storia lunga e robusta, oggi il suo valore non è accompagnato da altrettanta fama. «Ha avuto oltre 100 anni di completa dimenticanza.
In passato questo vino è stato citato in numerosi dizionari geografici. «Inglesi, francesi, tedeschi», continua Piancastelli. «Era molto consumato a Napoli. E Napoli era frequentata da mercanti e militari che inviavano all'estero i prodotti locali». Superando l'oblio iniziato con l'unità d'Italia e la riscoperta di pochi anni fa, c'è un futuro da costruire. «È una delle grandi uve della Campania, ma la sua diffusione sarà possibile solo se non ci sarà una nuova dimenticanza; se il Pallagrello riuscirà a non essere più moda ma a diventare storia».
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Il Mattino