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Maria Ammirati aveva 35 anni, era una designer di moda e aveva maturato un’esperienza di lavoro a Londra. Donna brillante con la felicità negli occhi. Era tornata a Caserta per seguire l’amore ed era rimasta incinta, La gravidanza l'aveva resa serena, raggiante. A volte la madre (aveva solo lei come figlia) la sorprendeva mentre si accarezzava la pancia che proteggeva il suo bambino di 14 settimane. Ma un giorno, il 28 giugno del 2012,
Maria morì. Poche ore prima, il battito del feto smise di funzionare, ma nessuno se ne accorse, nonostante la corsa in due ospedali differenti (per quattro volte in due giorni). Si pensò subito alla morte del feto per infezione dovuta all’amniocentesi. Così, dal 2012, la madre di Maria, Rosaria Mastroianni, ha iniziato una battaglia giudiziaria che, dopo dieci anni, si è conclusa con niente: per la morte di Maria, deceduta nell’ospedale di Caserta a 35 anni, dopo un’odissea tra gli ospedali di Marcianise e Caserta, non ci sono colpevoli.
Stando alle indagini, Nicola Pagano eseguì l’amniocentesi sulla Ammirati e la collega Anna Tamburro era accusata di aver diagnosticato (stando all’inchiesta) solo una colica addominale alla donna. Nel corso del processo di primo grado, in cui la madre si era costituita parte civile con gli avvocati Enrico Accinni e Gabriele Amodio, era stato sentito il consulente medico dottor De Francesco che, contrariamente al collega Balzano (nominati dal pubblico ministero) aveva sottoscritto la perizia. In realtà, gli avvocati difensori dei due medici Pagano e Tamburro, hanno puntato molto su due dati: l’amniocentesi sarebbe stata eseguita 11 giorni prima del decesso (per gli esperti l’infezione sarebbe dovuta insorgere entro 48 ore dall’esame, stando alla difesa) e sul caso della Tamburro sarebbe stato dimostrato come la dottoressa avesse proceduto a una manovra con esito positivo.
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