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Un tappeto di pietre - parliamo di pietre di porfido - registrate in modo corretto tra i documenti di viaggio, che veniva adagiato sul carico di cocaina. Un espediente che - nell'ottica dei narcos e dei loro soci - serviva a impedire che la droga venisse captata dallo scudo di raggi infrarossi usati per scannerizzare i container nei porti europei. Uno stratagemma che sarebbe stato usato dall'imprenditore Giovanni Fontana, per portare a termine un colpo milionario: era stato ingaggiato dal narcos Raffaele Imperiale per realizzare la spedizione di una ingente partita di cocaina. Un carico di ben 600 kg, che dall'Olanda doveva essere recapitato addirittura in Australia. È uno dei particolari che emerge dal provvedimento di sequestro firmato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico di Giovanni Fontana e del fratello Michele, nel corso delle indagini legate alle presunte collusioni tra i due imprenditori e i clan casalesi. Oggi agli atti un incrocio inedito, legato al rapporto tra Giovanni Fontana e Raffaele Imperiale, narcos internazionale famoso per aver consegnato allo Stato italiano i due dipinti di Van Gogh, acquistati dai ladri che 21 anni fa profanarono il museo di Amsterdam. Ed è Imperiale a svelare il retroscena del tappeto di pietre, anche se ha ammesso che quell'espediente si rivelò inefficace. Il carico venne bloccato, non arrivò mai in Australia. Un giallo la sua destinazione finale. Fatto sta che in più di un'occasione, dal 2009 al 2021, Imperiale si sarebbe servito di Giovanni Fontana, dei suoi mezzi di trasporto, versando all'imprenditore fino a sette milioni di euro. Una versione negata da Fontana, determinato a dimostrare la propria innocenza.
Sono stati i militari della Guardia di Finanza e del gruppo dei carabinieri per la Tutela dell'ambiente di Napoli a porre i sigilli a beni per 52milioni di euro.
Ma andiamo a leggere il provvedimento firmato dai giudici sammaritani (Urbano, Bianco, Graziano), in uno scenario che si è arricchito di particolari: «Numerosi e gravi gli indizi raccolti a carico del Fontana - scrivono - con intercettazioni telefoniche intercorse tra lui, l'organizzatore dell'operazione illecita e degli altri componenti del gruppo impegnato nell'occultamento della sostanza stupefacente da spedire poi in Australia; dai riscontri fotografici, dall'utilizzo di un deposito della società, di un rimorchio e di una matrice», che gli inquirenti ritengono riconducibile a soggetti vicini a Fontana. Ma non è tutto. Agli atti anche le accuse di Daniele Orsini, altro narcotrafficante vicino a Imperiale (specie negli anni della sua permanenza a Dubai), che avrebbe confermato i rapporti con gli imprenditori del casertano. Ed è così che si scoprono retroscena di natura economica. Oltre alla storia della cocaina da spedire in Australia, Imperiale ha ricordato di aver utilizzato i mezzi di Fontana per una decina di carichi. In alcuni casi ha parlato di compensi da 500mila euro, in altri di un versamento di sei milioni di euro, in altre circostanze ha fatto riferimento a dazioni di denaro da 40mila euro per ogni tratta, soldi da riservare al «cafone» (nome con cui veniva conosciuto Giovanni Fontana). Si attende a questo punto la mossa della difesa dell'imprenditore, quanto mai deciso a scrollarsi di dosso le accuse di Imperiale.
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