Camorra, cocaina nel porfido: «Così il re dei narcos aggirava i controlli»

Un tappeto di pietre per spostare 600 kg di droga dall'Olanda all'Australia

L'operazione speciale dei carabinieri
L'operazione speciale dei carabinieri
di Leandro Del Gaudio
Venerdì 24 Febbraio 2023, 07:00 - Ultimo agg. 20:21
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Un tappeto di pietre - parliamo di pietre di porfido - registrate in modo corretto tra i documenti di viaggio, che veniva adagiato sul carico di cocaina. Un espediente che - nell'ottica dei narcos e dei loro soci - serviva a impedire che la droga venisse captata dallo scudo di raggi infrarossi usati per scannerizzare i container nei porti europei. Uno stratagemma che sarebbe stato usato dall'imprenditore Giovanni Fontana, per portare a termine un colpo milionario: era stato ingaggiato dal narcos Raffaele Imperiale per realizzare la spedizione di una ingente partita di cocaina. Un carico di ben 600 kg, che dall'Olanda doveva essere recapitato addirittura in Australia. È uno dei particolari che emerge dal provvedimento di sequestro firmato dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, a carico di Giovanni Fontana e del fratello Michele, nel corso delle indagini legate alle presunte collusioni tra i due imprenditori e i clan casalesi. Oggi agli atti un incrocio inedito, legato al rapporto tra Giovanni Fontana e Raffaele Imperiale, narcos internazionale famoso per aver consegnato allo Stato italiano i due dipinti di Van Gogh, acquistati dai ladri che 21 anni fa profanarono il museo di Amsterdam. Ed è Imperiale a svelare il retroscena del tappeto di pietre, anche se ha ammesso che quell'espediente si rivelò inefficace. Il carico venne bloccato, non arrivò mai in Australia. Un giallo la sua destinazione finale. Fatto sta che in più di un'occasione, dal 2009 al 2021, Imperiale si sarebbe servito di Giovanni Fontana, dei suoi mezzi di trasporto, versando all'imprenditore fino a sette milioni di euro. Una versione negata da Fontana, determinato a dimostrare la propria innocenza.

Sono stati i militari della Guardia di Finanza e del gruppo dei carabinieri per la Tutela dell'ambiente di Napoli a porre i sigilli a beni per 52milioni di euro.

Inchiesta della Dda, verifiche sul settore dei trasporti e dei rifiuti - vale a dire sull'asset aziendale dei fratelli Fontana - quando emerge un'ipotesi completamente inedita: il presunto contatto tra Giovanni Fontana e il narcotrafficante Raffale Imperiale, per anni blindato nella sua vita dorata di Dubai, prima degli arresti del 2021. Una vicenda che va raccontata a partire da un retroscena: sono stati gli inquirenti francesi ad aver bucato la piattaforma di comunicazioni segrete tra Imperiale e i suoi soci occulti. Fatto sta che, secondo gli inquirenti, Giovanni Fontana avrebbe aiutato Imperiale a nascondere in un deposito due container contenenti ben 600 chilogrammi di cocaina diretti in Australia. La cocaina era ricoperta di porfido, formalmente garantita da bolle di accompagnamento. Ma andiamo con ordine, a partire dal retroscena di questa storia. Siamo a novembre del 2022, quando Imperiale conferma la propria scelta di collaborare con la giustizia. E le sue accuse hanno aiutato a costruire trame investigative in mezzo mondo, anche alla luce di una serie di riscontri oggettivi: Imperiale ha infatti confermato il contenuto di migliaia di intercettazioni telefoniche ricavate dalla piattaforma Skyecc usata per le conversazioni criptate. Sono emerse trame delittuose da approfondire, mentre sono spuntati via via in chiaro i profili dei soci con cui il narcos ha avuto rapporti di affari. Un pozzo senza fondo, dal quale sono emersi riferimenti all'imprenditore Giovanni Fontana.

Ma andiamo a leggere il provvedimento firmato dai giudici sammaritani (Urbano, Bianco, Graziano), in uno scenario che si è arricchito di particolari: «Numerosi e gravi gli indizi raccolti a carico del Fontana - scrivono - con intercettazioni telefoniche intercorse tra lui, l'organizzatore dell'operazione illecita e degli altri componenti del gruppo impegnato nell'occultamento della sostanza stupefacente da spedire poi in Australia; dai riscontri fotografici, dall'utilizzo di un deposito della società, di un rimorchio e di una matrice», che gli inquirenti ritengono riconducibile a soggetti vicini a Fontana. Ma non è tutto. Agli atti anche le accuse di Daniele Orsini, altro narcotrafficante vicino a Imperiale (specie negli anni della sua permanenza a Dubai), che avrebbe confermato i rapporti con gli imprenditori del casertano. Ed è così che si scoprono retroscena di natura economica. Oltre alla storia della cocaina da spedire in Australia, Imperiale ha ricordato di aver utilizzato i mezzi di Fontana per una decina di carichi. In alcuni casi ha parlato di compensi da 500mila euro, in altri di un versamento di sei milioni di euro, in altre circostanze ha fatto riferimento a dazioni di denaro da 40mila euro per ogni tratta, soldi da riservare al «cafone» (nome con cui veniva conosciuto Giovanni Fontana). Si attende a questo punto la mossa della difesa dell'imprenditore, quanto mai deciso a scrollarsi di dosso le accuse di Imperiale. 

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