Raffaele Imperiale si pente, ecco i nomi dei soci: «Stipendi da 20mila euro ai manager della cocaina»

Quattro interrogatori negli ultimi due mesi, spuntano i primi nomi degli affiliati del potente narcos giramondo

Il boss pentito Raffaele Imperiale
Il boss pentito Raffaele Imperiale
di Leandro Del Gaudio
Giovedì 8 Dicembre 2022, 10:00 - Ultimo agg. 15:21
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Dice di aver lasciato al proprio socio una cassa da 18 milioni di euro. E dice di aver speso - per anni - ogni mese dalle 350mila alle 400mila euro mensili, soldi che servivano «per gli stipendi dei propri soci (quelli di fascia alta intascavano fino a 20mila euro al mese, con tanto di tredicesima e quattordicesima), ma anche per le famiglie dei detenuti, per le assicurazioni di auto e camion da usare per trasportare cocaina e per la gestione delle spese ordinarie. Parte da qui il libro nero della cocaina, secondo Raffaele Imperiale, l'ex boss dei Van Gogh. Quattro interrogatori negli ultimi due mesi, spuntano i primi nomi dei soci e degli affiliati del potente narcos giramondo. È un racconto che investe l'Olanda, il Sudamerica, gli Emirati, il medioriente e finanche l'Australia, da parte di un soggetto tutelato da non poche coperture istituzionali. Come nel caso del viaggio che ha consentito al giovane killer Raffaele Mauriello di lasciare la Spagna - anno 2017 - per arrivare a Dubai, sotto l'ala protettiva dello stesso Imperiale: «Venne da me, con un volo privato che gli procurai, gli avevo fatto consegnare un passaporto messicano, ovviamente sotto falso nome. Era in Spagna, aveva saputo che sarebbe stato arrestato, tramite dei miei contatti feci anche dei controlli all'Interpol, ma fino a quel momento non era emerso nulla». E sulla latitanza dorata a Dubai, c'è anche la versione dello stesso Mauriello jr, che ha ammesso le accuse che gli vengono mosse per due omicidi: «Venni accompagnato dall'aeroporto alla casa di Imperiale in un'auto condotta da un autista di sua strettissima fiducia». Ma torniamo ai verbali depositati in questi giorni. Inchiesta condotta dai pm Giuliano Caputo, Maurizio De Marco, Lucio Giugliano (sotto il coordinamento della procuratrice Rosa Volpe), c'è lo snodo del Tribunale del Riesame, dopo il blitz di quindici giorni fa sul presunto asse tra gli Amato-Pagano e il clan calabrese retto dal boss della ndrangheta Mammoliti.

Spuntano retroscena, soprattutto per quanto riguarda la gestione economica.

Spiega Imperiale, tra decine di pagine di omissis: «Ho investito in lingotti di oro, so che a Napoli vendono lamine. I lingotti li ho presi da un'azienda, una fonderia del nord nei pressi di Venezia». In questo scenario, Imperiale tira in ballo alcuni soci, tra cui Anastasio, Ursini e Genovese, sostenendo di aver investito in un importante centro commerciale (specializzato in preziosi) in Campania. Un affare, quello dei lingotti, che avrebbe prodotto incassi da venti milioni al mese».

Stando al racconto messo a verbale, Imperiale aveva deciso da tempo di non occuparsi direttamente di droga. Lavorava su diverse piattaforme, grazie a circuiti criptati come Sky ECC, una app usata sugli smartphone per conversazioni a prova di intercettazioni: «Avevo deciso di occuparmi solo di flussi economici», ha spiegato, dopo anni da narcos internazionale. Conversazioni blindate, ma anche un travaso di denaro a prova di blitz. Come avveniva? Lo racconta Bruno Carbone, il socio storico di Imperiale, che è stato arrestato di recente, dopo aver trascorso un periodo di prigionia tra Siria e Turchia come ostaggio. Spiega Carbone: «Genovese manteneva la contabilità, spostava il denaro telematicamente, in base ai nostri ordini». Come funzionava? «A Napoli si consegnavano i soldi ad una persona, che li depositava su conti, e i soldi ricomparivano ad esempio in Sudamerica». Un sistema fondato sulla fiducia, sulla scorta di quanto avviene nella cultura araba, con il cosiddetto metodo della hawala, capace di garantire il trasferimento di valori sulla fiducia di chi accetta di trasferire soldi su conti correnti e recapitarli a insospettabili dall'altra parte del mondo.

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Ma entriamo nel merito dei presunti soci, partendo dalla premessa che si tratta di soggetti da ritenere innocenti, fino a una eventuale sentenza definitiva: Mario Simioli, Raffaele Di Matteo, Domenico Alfano e Nicola Basile, Marco Liguori, Daniele Ursini, Mario Allegretti, Massimo Liuzzi; ma anche i nickname Penton-Chapo, Bajas, Anas, che oggi sono a disposizione degli inquirenti, grazie alla capacità degli inquirenti di bucare gli schermi dello Sky ECC. Inchiesta al Riesame, ieri parziale successo per l'indagato Antonio De Dominicis (annullato il titolo cautelare per associazione mafiosa), difeso dai penalisti Andrea Di Lorenzo e Luigi Senese. Conferme per gli altri indagati, per il quali ora pesano le accuse degli ex big del narcotraffico. 

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