Cocaina da Napoli all'Australia, i narcos del boss Imperiale pagati in oro

Sgominata la rete di trafficanti: rifornivano anche la 'ndrangheta

Il boss Raffaele Imperiale
Il boss Raffaele Imperiale
di Valentino Di Giacomo
Giovedì 17 Novembre 2022, 00:22 - Ultimo agg. 18 Novembre, 07:41
4 Minuti di Lettura

Erano in grado di trasportare centinaia di panetti di cocaina dalla provincia di Caserta (Villa Literno) per portarli fino all’Australia. Non c’era continente dove l’organizzazione non riuscisse ad inviare droga, soldi o fare scambi con ingenti quantità di oro.

Dopo l’arresto e l’estradizione da Dubai di Raffaele Imperiale e la cattura, ieri dalla Turchia, di Bruno Carbone, è stata completamente sgominata la banda di narcotrafficanti internazionali in affari con loro. In 28 sono finiti in manette grazie ad una lunga e articolata indagine congiunta della Squadra Mobile di Napoli guidata dal superpoliziotto Alfredo Fabbrocini e dallo Scico della guardia di finanza. Affari da circa 300 milioni grazie alla movimentazione di decine di quintali di polvere bianca.

La rete, attiva in tutta Italia, si avvaleva di depositi soprattutto in provincia di Napoli (in particolare Varcaturo, Licola, Lago Patria e Quarto), ma soprattutto delle capacità di Raffaele Imperiale di riuscire a farsi rifornire di coca dal Sudamerica con una facilità strabiliante. Droga che poi la rete costituita da Imperiale era in grado di smistare in ogni parte del mondo, in particolare facendo affari con il clan partenopeo degli Amato-Pagano (tenuti praticamente in vita - ricostruiscono gli inquirenti - dai rifornimenti di polvere bianca dell’ex fuggitivo) e con le ‘ndrine calabresi. Raffaele Imperiale, catturato lo scorso marzo dopo essere stato espulso dagli Emirati Arabi, è stato reso celebre dalle cronache per i quadri di Van Gogh trafugati (e poi restituiti) dal museo di Amsterdam venti anni fa.

Dopo l’arresto effettuato ieri ai danni di Bruno Carbone, portato in Italia dalla Turchia, gli inquirenti hanno messo sotto scacco l’intera rete della quale i due broker della droga si avvalevano.

In un solo anno le indagini avviate da polizia e guardia di finanza, come è stato illustrato dal capo della Mobile Alfredo Fabbrocini e dal comandante dei Gico della guardia di finanza di Napoli, Danilo Toma, l’organizzazione è riuscita a movimentare almeno 7 tonnellate di droga. «Questa - è stato spiegato - è solo la parte che noi siamo riusciti a rinvenire. Un giro milionario quantificabile in almeno 300 milioni di euro». Approdata sulla terraferma, la cocaina veniva prelevata e trasportata su gomma da autotrasportatori compiacenti, per poi essere nascosta in depositi e covi in tutta Italia. Diverse le abitazioni e i garage scovati nel Giuglianese, tutti a distanza ravvicinata. Per nascondere la droga ci si avvaleva pure di officine specializzate, una in via Terracina, in grado di creare degli appositi scompartimenti sugli automezzi per nascondere coca e danaro. Se nel Napoletano a beneficiare delle consegne erano soprattutto gli affiliati al clan Amato-Pagano, sono emersi stabili rapporti anche con le ‘ndrine calabresi le quali, oltre ad approvvigionarsi di cocaina, fornivano il loro supporto per il recupero di ingenti partite di stupefacente che giungevano nello scalo marittimo di Gioia Tauro, grazie ad operatori portuali infedeli. 

Video

L’intera operazione nasce grazie alla collaborazione di Europol e Eurojust, che, nel 2020, riuscì a decifrare varie comunicazioni crittografate (su Encro-Chat e Sky-Ecc). Imperiale era presente in ogni fase delle operazioni: suggeriva anche di ripulire i panetti di coca con la candeggina così da rendere più complesso il lavoro dei cani antidroga. I proventi del narcotraffico venivano in parte trasferiti all’estero avvalendosi di sistemi di movimentazione monetaria alternativa, basata sull’opera di cambisti internazionali, il cosiddetto Hawala. Non solo. Il denaro della droga è stato anche reinvestito in attività speculative come la compravendita di oro. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA