Alla discarica Resit di Giugliano c’è stato inquinamento delle acque e, se sì, è stata contaminata dalla discarica o da fattori esterni ad essa? Avranno...
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In primis, dovranno stabilire se presso le discariche e gli invasi riconducibili alle società Setri, Cimevi e poi Resit, c’erano idonei presidi a tutela delle matrici ambientali previste dalla diverse normative, come per esempio un’adeguata rete di drenaggio e raccolta del biogas e del percolato.
All’esito di questa prima attività, i periti, considerando anche lo smaltimento di rifiuti pericolosi che c’è stata negli anni e le caratteristiche geologiche, geotecniche e idrogeologiche dei suoli, dovranno dire se c’è stato un danno all’ambiente, di quale entità, e se le sostanze inquinanti già riscontrate come esistenti nella falda acquifera sottostante ai siti possono ritenersi potenzialmente idonee a nuocere gravemente alla salute.
Su quest’ultimo punto, i tre consulenti, in caso di positività, dovranno stabilire se le sostanze possono dirsi o meno provenienti dai rifiuti sversati e se l’eventuale riscontrato danno ambientale o l’eventuale riscontrato avvelenamento delle acque siano ancora in corso.
In quest’ultimo caso, stabilire poi se abbiano un andamento progressivo nel tempo e di quale entità. Vista la complessità degli accertamenti, i consulenti hanno chiesto 90 giorni per la consegna della perizia per poi essere ascoltati in aula il prossimo 1 marzo. In pratica, i tre consulenti piemontesi potrebbero mettere un punto definitivo sul disastro ambientale, oppure ribaltare la storia.
La Procura Generale si è riservata sulla nomina di suoi consulenti. Nel processo di primo grado non era stata disposta una nuova perizia, ma ci si era basati sulle consulenze di parte depositate dal pm Alessandro Milita.
Il geologo, il chimico e l’ingegnere ambientale sono stati nominati dal presidente Zeuli la scorsa udienza, a seguito della richiesta di riapertura dell’istruttoria dibattimentale avanzata dal collegio difensivo degli imputatati composto dagli avvocati Griffo, Monaco, Stellato, Martino e Cangiano.
Il processo di primo grado alla V sezione della Corte d’Assise di Napoli, presieduta da Adriana Pangia, con 29 persone imputate accusate di disastro ambientale e traffico illecito di rifiuti, con l’ombra della camorra, in particolare il clan dei Casalesi che sulla gestione dei rifiuti aveva avviato un business milionario, si è concluso nel luglio 2016, dopo sei anni e oltre 180 udienze, con la condanna, tra gli altri, a 20 anni di carcere per Cipriano Chianese, proprietario della Resit ritenuto l’inventore delle ecomafie; a 16 anni Gaetano Cerci, altro imprenditore ritenuto legato ai Casalesi e coinvolto negli scarichi abusivi alla discarica Resit; 5 anni e 6 mesi con interdizione dei pubblici uffici, invece per Giulio Facchi, in quegli anni sub-commissario all’emergenza rifiuti in Campania; 12 anni per Alfano Remo e Mosè di Meo e 5 e 6 anni per i fratelli Generoso, Raffaele e Elio Roma. Per tutti cadde l’aggravante del metodo mafioso. Durante il processo per le misure di prevenzione nel tribunale di Santa Maria Capua Vetere, Cipriano Chianese aveva portato in aula i video in cui si vedevano le fasi principale dell’installazione dei rivestimenti del terreno per ospitare i rifiuti nella Resit. Ma a nulla è valso a evitare per lui la condanna a 20 anni di carcere. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino