San Leucio e Vaccheria verso un'unica parrocchia

San Leucio e Vaccheria verso un'unica parrocchia
Di soppressione della sua parrocchia non ne vuole sentire parlare. «Non è questo, si tratta di una riunificazione, o se vogliamo un modo per sanare la frattura...

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Di soppressione della sua parrocchia non ne vuole sentire parlare. «Non è questo, si tratta di una riunificazione, o se vogliamo un modo per sanare la frattura ingiustificata consumata non molto tempo fa con la comunità di Vaccheria, un ritorno alle origini che di sicuro darà forza all'eredità culturale di San Leucio». Certo è che per don Battista Marello, prete-artista autore di sculture note e magnificate a livello nazionale, ritenuto lo studioso più competente delle vicende della real colonia, è un momento delicato. Dal 1973 è insediato nel suo studio-laboratorio-canonica a ridosso della chiesa di San Ferdinando re, da quando cioè Vito Roberti lo volle, a 25 anni, come aiuto di monsignor Oreste Padula, che allora aveva la veneranda età di 87 anni.

«La situazione ha sempre presentato aspetti curiosi e poco logici, a cominciare dalle due processioni della Madonna promosse da due parrocchie distanti qualche centinaio di metri e da due realtà parrocchiali che insieme non hanno mai fatto numeri significativi vista la bassa densità demografica dei borghi», aggiunge ricordando come per tre frazioni casertane - e altrettante chiese aperte al culto - la riorganizzazione avviata dal vescovo Lagnese prevede un solo sacerdote. In questo caso c'è da aggiungere che la parrocchia di Vaccheria fu istituita sessanta anni fa e solo per dare una collocazione - pare - ad un esponente del clero. «Vaccheria, se vogliamo, è sempre stata un'articolazione di San Leucio, un suo prolungamento» ricorda don Battista. I suoi abitanti gravitavano intorno alla colonia ferdinandea e alle sue seterie. Adesso però, con l'imminente accorpamento, potrebbe essere proprio

Vaccheria, in vantaggio per numero di fedeli, ad assorbire dal punto di vista parrocchiale San Leucio.
«Non so cosa deciderà il vescovo, è una cosa delicata, io vedo al momento solo un aspetto positivo in questo processo unitario», conclude il prete-artista. Per le due chiese, quella di Santa Maria delle Grazie di Vaccheria e quella di San Ferdinando re di San Leucio, sulla carta, comunque si concluda la riunificazione, non cambia nulla. Ma in effetti il rischio è che se, mettiamo, dovesse essere confermata l'ipotesi Vaccheria, la chiesa di San Leucio diventi in qualche modo residuale, da tenere chiusa e da aprire magari solo in occasioni speciali. A meno che non si trovi il modo di tenere vivo e funzionale il complesso religioso.

La cappella leuciana ha una storia nobile e antichissima, le cui origini - come chiesa di San Leucio de Monte - sono antecedenti al 1113, anno in cui viene citata nella bolla di Senne. Nel 1773, un quarto di secolo dopo che Carlo di Borbone aveva acquistato il complesso edificato dagli Acquaviva in collina e passato ai Gaetani, la chiesetta era ridotta ad un rudere. Fu da Ferdinando IV inglobata nell'edificio del Belvedere e venne infine risistemata da Collecini. La parrocchia reale fino all'unità d'Italia era di fatto una istituzione autonoma dipendendo dalla «Cappellania maggiore del regno». Nel 1861 passò alla diocesi di Caserta. Qualche anno dopo, nel 1866, la colonia fu elevata al rango di comune con il nome di San Leucio, e così rimase fino al 1928, quando fu accorpato come frazione alla città di Caserta. 

Don Battista ha cominciato a raccogliere carte, libri, documenti vari e registri dell'ex colonia dal 1976. Un vero scavo anzitutto in sagrestia, che ha permesso di salvare testimonianze storiche eccezionali, in seguito consegnate all'archivio diocesano. Archivio che nel 2000 è stato riordinato da Paolo Franzese per conto della soprintendenza archivistica della Campania, che ha curato pure il relativo Inventario. Così oggi sono consultabili l'elenco dei beni provenienti dalla cappella di San Leucio e numerosi registri che partono dal 1775. Come il libro dei battesimi, il libro dei defunti, il libro dei matrimoni, il registro dei cresimati.

Restano, ancora nello studio-laboratorio di don Battista, le sue carte. «Sono state accumulate in 50 anni: c'è di tutto, dalla sostituzione delle tegole alle foto del complesso nelle varie fasi», spiega lui. Che ha affiancato esperti di tutte le discipline nel lungo processo di risanamento e restauro di San Leucio. Propiziato nel 1976 con gli studi del Politecnico di Milano e della Pennsylvania University, si è concluso dopo 15 anni di lavori e una spesa di 55 miliardi di lire nel 1999. Il riordino e lo studio di questi documenti è stato affidato da don Battista alla storica Paola Broccoli. L'archivio diocesano dovrebbe essere comunque la meta anche dell'archivio Marello, con la speranza che un progetto finanziato con il Pnrr possa veicolarne la conoscenza sul territorio e l'ingresso in una rete internazionale. «Quello che mi preme - è il messaggio di don Battista Marello - non è salvare un palazzo, perché di bei palazzi ne è piena l'Italia, ma la memoria di una esperienza irripetibile e il senso di una collettività che non va disperso».

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Il Mattino