«1860: la verità» di Antonio Formicola e Claudio Romano: Garibaldi non s'imbarcò a Quarto

Dalla lettura dei documenti si capisce quanto in quei mesi Francesco II abbia esitato a prendere ferme decisioni militari

«1860: la verità» di Antonio Formicola e Claudio Romano
Il servizio di spionaggio, organizzato dai consoli con complici infiltrati in tutte le corti europee, funzionava. Da aprile 1860, al re Francesco II di Borbone arrivarono decine...

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Il servizio di spionaggio, organizzato dai consoli con complici infiltrati in tutte le corti europee, funzionava. Da aprile 1860, al re Francesco II di Borbone arrivarono decine di rapporti sulle spedizioni garibaldine, con nomi dei comandanti e delle navi. Eppure, Garibaldi e le camicie rosse riuscirono a sbarcare a Marsala, in circostanze fortuite e agevolati dalle presenze inglesi, nonostante le navi borboniche. Sulla spedizione dei Mille si è detto tutto e il contrario di tutto, ma il libro 1860: la verità (Apeiron edizioni, 283 pagine, euro 35), scritto da Antonio Formicola e Claudio Romano, ricercatori porticesi consulenti dell'Ufficio storico della Marina militare, è originale per la scelta degli autori.

Il testo ha poche pagine di interpretazioni e sintesi degli avvenimenti, perché la sostanza del volume è la corposa pubblicazione della trascrizione di ben 525 documenti del prezioso Archivio Borbone custodito all'Archivio di Stato di Napoli e 135 immagini, anche rare, dell'epoca su quelle vicende. I documenti coprono un periodo dal 18 gennaio 1859 al 21 marzo 1863. Gli autori avvertono: «La bibliografia in questa pubblicazione è ridottissima, lasciando spazio alla trascrizione di una selezione del materiale consultato all'Archivio di Stato di Napoli».

Dalla lettura dei documenti, tutti indicati con precisa individuazione, si capisce quanto in quei mesi del 1860 Francesco II abbia esitato a prendere ferme decisioni militari, timoroso di provocare una guerra contro lo Stato del Piemonte: nessun blocco dei porti, nessun divieto di avvicinamento a navi con bandiere piemontesi e americane.

In più, è chiaro come i famosi Mille si moltiplicarono indisturbati dall'aprile all'agosto del 1860 con l'arrivo sulle coste del regno delle Due Sicilie di ben 54 navi che sbarcarono qualcosa come 43.000. Gente non sgangherata, ma bene armata di fucili dell'ultima generazione, revolver e le famose Colt inglesi in grado di sparare sei colpi in pochi secondi. Poco attrezzato di armi moderne, invece, l'esercito borbonico dotato ancora di fucili che sparavano un colpo e dovevano essere ricaricati perdendo attimi preziosi. 

Tra tutte, colpisce una notizia: Garibaldi non si imbarcò a Quarto, ma in Toscana nella tappa intermedia dei piroscafi Piemonte e Lombardo. È l'informazione contenuta nel rapporto riservato dell'8 maggio 1860 al ministero degli Esteri borbonico: «Garibaldi partito stanotte per Firenze per terra. Imbarcherà sera mercoledì prossimo sul vapore Piemonte a Livorno con bombe incendiarie». Notizia ripetuta il giorno dopo da Ippolito Garron, console a Genova di Francesco II, che addirittura scrive: «Ho fatto seguire Garibaldi da nostro individuo venuto da Napoli». Il re esitò, ebbe paura dei riflessi internazionali e di dichiarare una guerra, che decretò solo quando partì da Napoli il 6 settembre 1860. Dopo il rifiuto del generale Carlo Filangieri, che per guidare le truppe in Sicilia lo voleva al suo fianco, il 22 giugno 1860, attraverso il suo segretario particolare Agostino Severino, il re chiese al suo ambasciatore a Madrid, Luigi Garvia principe di Grifeo, di cercare un generale spagnolo da mettere a capo delle sue truppe. La risposta arrivò il 24 giugno: «L'Infante di Spagna parlerà riservatamente a S. M. la Regina, ed ottenutone il permesso, farà chiamare il Generale D. Errico O Donnel per la scelta di un Generale». Non se ne fece nulla, ma questo documento conferma il clima di diffidenza e scarsa considerazione che circondava le scelte di Francesco II e di chi lo consigliava. Anche per questo, Garibaldi e l'abilità diplomatica e militare dello Stato piemontese ebbero la meglio e le Due Sicilie crollarono. 

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Il Mattino