De Martino, il Meridione come terra del rimorso

Ernesto De Martino
Libro che ribalta il canone e offre prospettive alternative, cariche di significati nuovi che vanno al di là dell'ambito scientifico al quale si rivolge, è La...

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Libro che ribalta il canone e offre prospettive alternative, cariche di significati nuovi che vanno al di là dell'ambito scientifico al quale si rivolge, è La terra del rimorso dell'etnologo napoletano Ernesto De Martino, ripubblicato da Einaudi (pagine 464, euro 27) in una nuova edizione a cura di Marcello Massenzio con lunghe appendici critiche firmate da più autori, un dossier fotografico di Franco Pinna sulle varie fasi di esecuzione dell'esorcismo della taranta e gli spartiti utilizzati dai suonatori.

Pubblicato per la prima volta nel 1961, due anni dopo la spedizione di De Martino nelle comunità contadine del Salento a capo di un'équipe formata da specialisti di discipline diverse, dalla storia delle religioni all'etnomusicologia, dalla psichiatria alla sociologia, fu scritto per studiare il tarantismo, fino a quel momento interpretato come fenomeno morboso o pittoresco. Il tarantismo colpiva chi, per lo più donne, aveva perso interesse nei confronti dell'esistenza e si lasciava andare rimanendo in uno stato catatonico. Per «salvare» la persona «malata» si ricorreva a una musica mitico-rituale così da esorcizzare il malessere, causato si diceva del morso velenoso di una taranta, un ragno, tanto che chi ne risultava avvelenato era chiamato tarantato. Se il tarantato rispondeva alla musica, dominata dal ritmo incalzante del tamburello, e si abbandonava a una danza sfrenata, allora andava incontro alla guarigione.

Questo il fenomeno, che De Martino studiò con metodo scientifico, scorgendo nell'abbandono allo stato vegetale un meccanismo di difesa dall'angoscia esistenziale in grado di colpire tanto il contadino quanto il capitano d'impresa, tanto l'ignorante quanto l'intellettuale. Partendo dallo studio del fenomeno, l'etnologo elaborò il fondamento di una rivoluzione di pensiero per dare, o meglio ridare, dignità alla cultura contadina, alla storia del Meridione.

«L'analisi demartiniana del tarantismo vuole essere un contributo allo studio della storia religiosa del Sud intesa, sulla scia di Gramsci, come nuova dimensione della questione meridionale. Da questo punto di vista La terra del rimorso si distacca nettamente dalla letteratura meridionalistica tradizionale nel cui ambito, di norma, il materiale folkloristico-religioso non ha praticamente nessun peso, ridotto a semplici e ovvie testimonianze di arretratezza morale ed intellettuale delle genti del Sud», scrivono nella premessa il curatore Massenzio e Fabio Dei.

Lo studioso napoletano, che all'epoca della spedizione aveva 51 anni, attaccò gli etnologici che fino a quel momento avevano visto nella religiosità meridionale un semplice «rottame irrilevante» o peggio «aneddotica frivola, pettegolezzo irriverente nel solenne corso degli eventi». Il Meridione ha una storia che a lungo è stata vista con gli occhi del poeta romantico, del nostalgico della tribù magari dalla cultura arretrata ma portatrice di valori autentici.

Per De Martino non era così: «Nella varia letteratura relativa alla questione meridionale, ci si limita in genere agli aspetti sociali, economici e politici del problema, senza avvertire come la dimensione storico-religiosa avrebbe inaugurato una più ampia valutazione storico-culturale della realtà meridionale», che altri hanno idoleggiato come «reliquie del passato da salvare», «echi di antiche civiltà», «monumenti archeologici del pensiero», «strati geologici rivelatori delle varie epoche», connotandoli così come elementi negativi ed estranei alla storia. È ora di «rinnovare la coscienza meridionalistica tradizionale», che merita maggiore rispetto e considerazione.
 

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Il Mattino