I rocker presi per la gola? Il titolo, No pasta no show, lo dice chiaro e forte: in Italia i musicisti volevano, e vogliono, mangiare bene. E Claudio Trotta, uno dei signori del...
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Il racconto di Trotta è un dietro le quinte vario e colorito, che mostra passione e business necessari per organizzare un concerto, con critiche per tour sempre più kolossal e algidi e il fenomeno del secondary ticketing. La sua storia professionale diviene, in qualche modo, generazionale. L’esordio, con i due milioni di investimento messi a disposizione dalla mamma, ex ballerina di varietà, è tipico degli anni ‘70 italiani: passa per le radio libere, «ma libere veramente», prima di arrivare ai primi concerti organizzati per TeleMilano 2, emittente in orbita Pci. Trotta inizia con il Feminist Improvising Group, poi il gioco si fa duro e lui, da duro, inizia a ballare. L’avventura della Barley Music, la sua società, debutta nel maggio ‘79 con John Martyn, che si scola durante lo show 17 lattine di birra, una bottiglia di whisky ed un litro e mezzo di vino rosso ma con una chitarra e un primitivo marchingegno per mandarla in loop sembra essere accompagnato da un’orchestra.
Claudio è un fan dei primi artisti che porta in tour in Italia, i suoi gusti coincidono con quelli de «Il Mucchio Selvaggio», rivista più «rock classic» rispetto alla rivale «Rockerilla», decisamente new wave oriented. L’incontro con Franco Mamone, il papà di tutti i promoter italiani, è un passaggio verso la categoria superiore. Undici esauriti e 35.000 spettatori con Bruce Cockburn, nove sold out e 25.000 persone per David Bromberg: altri tempi, decisamente. John Renbourn, Leo Kotke, solo otto paganti per Robin Williamson della Incredible String Band, Sonny Terry e Brownie McGhee: per molti, purtroppo più al Nord ceh al Sud, l’unica educazione sentimental-musicale possibile.
I nomi diventano sempre più importanti: David Lindley, Van Morrison, Ry Cooder (che scopriamo appassionato di monete e francobolli antichi), Bo Diddley (una sera a Milano a salutare il padre del rock’n’roll arriva nientepopòdimeno che Muhamad Ali, naturalmente con Gianni Minà), sua maestà John Lee Hooker, Tracy Chapman, Michelle Shocked, Marianne Faithfull, Rickie Lee Jones, Sheryl Crow, Laurie Anderson. Un nuovo salto di qualità arriva con Frank Zappa (la Scala, con il sindaco milanese Pillitteri, rifiuta di mettere in scena una sua opera), Stevie Wonder (ma è un flop), i Queen. Trotta sogna in grande, entra nella stagione dei raduni con il «Milano blues festival» (Bonnie Raitt, Albert King, B.B. King, Johnny Winter, Jonh Mayall...), «Monsters of rock» con le star dell’hard’n’heavy (nel suo curriculum troviamo Iron Maiden, Metallica, Aerosmith, Guns N’Roses, Ozzy Osbourne, Motley Crue, Whitesnake e i Kiss, che vollero per contratto che il promoter si travestisse come loro, che mostrasse la linguaccia come loro), «Sonoria» (Bob Dylan, Peter Gabriel, Blur, Jimmy Cliff, Plant & Page, Cure, Iggy Pop, Nick Cave, Orbital). Tra i sogni mancati ci sono i Grateful Dead, il suo gruppo preferito, e il tour-sfida tra i rivali Vasco Rossi e Liguabue (quest’ultimo, a dir la verità, Claudio non lo capisce subito, bocciandolo quando ne ascolta il primissimo demo).
Trotta non mitizza, niente droghe e niente sesso, ma tanto rock’n’roll nel suo racconto, che non dimentica, tra i tanti volti del dietro le quinte, il faccione da cattivo e gli occhi da buono di Franco «Ciccio» Troiano, «uno dei promoter locali più visionari e capaci di tutti i tempi: è stato capace di far suonare in una città campana di provincia Pink Floyd, Dire Straits e i Cure, tra gli altri, adeguando a proprie spese lo stadio locale per poter ospitare fino a 30.000 persone», scrive Trotta: anche di questo, dell’epica dello stadio Simonetta Lamberti di Cava de’ Tirreni, parleremo giovedì. Sogni di rock’n’roll, appunto. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino