Diamond Dogs: il post punk napoletano entra al museo

Lilith dei Not Moving nel bagno del Diamond Dogs fotografata da Toty Ruggieri
In fondo, Toty Ruggieri questo libro lo doveva a Salvio Cusano, con cui il progetto era nato, a Frank Diana, che pure se n’è andato, a tutti noi che c’eravamo e...

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In fondo, Toty Ruggieri questo libro lo doveva a Salvio Cusano, con cui il progetto era nato, a Frank Diana, che pure se n’è andato, a tutti noi che c’eravamo e in qualche modo resistiamo, ai nostri figli a cui sembra quasi impossibile che le notti napoletane, oltre che da baretti cheap-chic, trendesetter, fashionblogger e escort, siano state un tempo dettate da lupi mannari postmoderni, sciamannati punk freak, ribelli senza causa nè pausa e cave. Sì, cave. Oggi le usano per spettacolini burlesque e paraturistici, negli anni Ottanta le usammo, almeno una, almeno quella, per sentirci vivi, per dirci postmoderni. «Chiedi cos’era il Diamond Dogs», si domandava qualche tempo fa un’abborracciata mostra al Pan. La risposta, con poche sentite parole di Paolo Pontoniere e feroci immagini dell’epoca, rigorosamente in black e white di Ruggieri, la dà ora un libro, «Diamond Dogs: Officina Post-Industriale 1984-87 Napoli» (Yard Press, 256 pagine, 25 euro), che venerdì sera sarà presentato a Napoli, al Madre: il post-punk partenopeo entra al museo, ma non si fa museificare, o almeno così promette, annunciando un party degno di quei giorni.

L’officina post-industriale in via cavone San Gennaro dei poveri, in piena Sanità fu l’urlo disperato di una generazione che non credeva più nella rivoluzione e stava per soccombere tra eroina e Aids, ma che sapeva sognare ancora come trasformare la cabina di un tir in una postazione da dj, come rubare il nome di un locale a David Bowie, come usare quelle grotte di tufo per farsi: di musica, di sesso, di vita, ancor prima che di qualsiasi droga possibile.
Negli anni d’oro del neapolitan power c’era chi era già oltre. Lunedì 11 giugno 1984 l’inaugurazione, con la no wave dei Bisca, il sax funky-isterico di Sergio Maglietta, le selezioni di Gigi «la nuit» D’Aria, passato da Autonomia Operaia ai Talking Heads. Toty c’era e i suoi occhi e la sua macchina raccontano il ‘77 finito in ritardo, la fantasia al (contro)potere, la controcultura come pratica notturna quotidiana, i concerti dei Jazz Butcher, dei Gang, dei Not Moving con la sexy lady Lilith oscuro oggetto del desiderio, dei Christian Death, dei Living in Texas, delle selezioni di Enzo Casella. Alla Napoli di Lucio Amelio, Warhol & Beuys rispondeva la Napoli di Falso Movimento, dei punkettini e delle signorinelle darkpallide, di Zerbino che una notte rimase chiuso dentro il D.D., di Gigi Plasma che oggi sembra che si occupi di moda a Berlino, di Salvatore Magnoni che poi ha provato a vendere dischi e poi ancora ha scelto di produrre vino, di Tonino Piccolone e di Leopoldo che venivano da Segnali di Accelerazione (storico centro sociale di Acerra), di Alessandra, Stefania, Luca, Franco il rosso, Salvatore, Gennaro da Piscinola...

Robe da officine post-industriali nel ventre di Napoli, robe incredibili, da sogno, da incubo. Da Diamond Dogs. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino