Sarà mai possibile fare Eduardo De Filippo a fumetti? In realtà è quello che sta accadendo con una collana che l'editore Pesce manda in libreria con uno...
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Insieme a Paola Quarenghi, De Blasi ha curato le opere di De Filippo nei Meridiani, un'operazione che ha gettato le basi per dare al teatro eduardiano quel ruolo di opera letteraria del Novecento che gli spetta. Ma in questo ultimo lavoro De Blasi va oltre, perché scrive un vero e proprio essai, acutamente critico ma senza accademie di sorta, perseguendo una scrittura essenziale che fa della comunicazione uno dei suoi pregi: l'Eduardo di De Blasi è un libro da leggere, e che una volta cominciato è difficile abbandonare. Seguendo la linea cronologica De Blasi «racconta» e spiega opera per opera come si è formata la barriera corallifera del teatro-mondo eduardiano, illustrando in maniera esemplare il continuo passaggio tra la scena e la scrittura che rende quell'opera particolare. Un passaggio continuo e persino ossessivo nel quale è come se vedessimo davanti a noi il palcoscenico nascere dal testo letterario e il testo letterario nascere dal palcoscenico, in una sorta di dialettica senza fine che ci permette di leggere quell'opera in maniera aperta.
In De Blasi troviamo anche l'analisi della mescolanza linguistica che ha strutturato l'opera di Eduardo, analisi in cui le vecchie pazzielle dell'italiano napoletanizzato e del napoletano italianizzato sono superate, come nel brano in cui De Blasi smonta, filologia alla mano, le accuse di infedeltà al dialetto della tradizione che De Simone fa al linguaggio di Eduardo: la lingua di Eduardo è la lingua di cui ha bisogno la sua opera teatrale e letteraria, e quindi non ha alcun bisogno di avere una presunta fedeltà a un presunto linguaggio autentico di un presunto popolo (autenticità mai esistite e frutto di pura ideologia), ma va letta come la lingua di uno scrittore, ovvero una lingua con proprie regole, un idioletto. È anche per questo che le analisi di De Blasi sugli interscambi interni al teatro scritto di De Filippo sono persuasive, perché interpretano l'opera a partire dal testo d'autore considerato centrale, e si chiudono con un commovente e perfetto piccolo saggio sulla traduzione della Tempesta di Shakespeare compiuta e poi registrata da un Eduardo ottantenne: una registrazione inedita che sarebbe il caso di rendere edita, se mai qualche istituzione napoletana volesse fare sul serio cultura.
E va detto anche, nello stracciarsi di vesti che facciamo spesso sulla cultura a Napoli, che dall'officina della Federico II stanno uscendo lavori importanti e nuovi, retti dall'idea che i diritti della filologia sono sacrosanti ma che i linguaggi della critica devono trasformarsi, e fra i non pochi titoli citiamo almeno questo Eduardo di De Blasi, i saggi di Matteo Palumbo nel Romanzo italiano da Foscolo a Svevo, L'umorismo letterario di Giancarlo Alfano e i Promessi sposi curato da Francesco de Cristofaro con Alfano, Palumbo, Viscardi e De Blasi: un gruppo a cui verrebbe voglia di chiedere un Russo e un Di Giacomo nei Meridiani, dando infine a questi due fratelli separati il ruolo di scrittori europei che spetta loro. Fuori da ogni napoletanità d'accatto, e dentro quello spirito nel quale da sempre hanno lavorato e lavorano alla letteratura, all'arte e alla musica quelli che Napoli la vedono come parte dell'Europa, e non come una folcloristica provincia paga di mandolini e gouaches. La fedeltà alla tradizione? Fedele alla tradizione di questa città-mondo è solo chi la tradizione la reinventa. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino