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Non a tutti interessano le vite di uomini (e donne) non illustri. Nel catalogo infinito delle possibili biografie virtuali, un'esperienza quasi mistica che solo un genio come Borges saprebbe raccontare, c'è una sezione particolarmente affascinante. Quella che riguarda uomini e donne che hanno amato e praticato la magnifica ossessione che si chiama cinema. «Magnifica ossessione», 1954, regia di Douglas Sirk, interpreti Rock Hudson e Jane Wyman. Giusto perché la citazione non risulti a caso, vi informiamo che c'è una foto dei due protagonisti in copertina nel libro di Emiliano Morreale («L'ultima innocenza», Sellerio, 220 pagine, 16 euro).
Giornalista, saggista, critico cinematografico e ora narratore di storie improbabili e scandalose, avvincenti e inverosimili, dannate e catartiche. Storie di persone quasi sconosciute ai più, ma che hanno tutte trafficato ai bordi o al centro di quell'universo, dagli anni del muto all'epoca d'oro hollywoodiana a Franco e Ciccio e ai porno di serie B e C. Lungo pagine ammiccanti e commoventi si aggira come un'ombra l'autore, siciliano di Bagheria, cresciuto a cinemini di periferia in stile Tornatore, con programmazioni suicide e vocazione alle rassegne tematiche per cinefili incalliti.
Questo è il clima in cui nasce la passione per il grande schermo e per le figure e figurine che vi girano intorno. Una vera raccolta di biografie minori nata ai tempi del Covid e maturata fino a diventare un romanzo singolare e coinvolgente.
Si chiude in bellezza con una starlette del cinema muto, Dorothy Gibson, sopravvissuta al naufragio del Titanic e frequentatrice del bel mondo tra le due guerre, probabile pedina di una rete di spie in Italia, finita in carcere a San Vittore dove incontra il giovanissimo Mike Bongiorno e da cui fugge con Indro Montanelli.
Sono biografie storiche con divieto di invenzione, avverte Morreale a fine libro citando fonti e riferimenti. Ma è stato lui a ricrearle, regalando loro corpo e vita, infondendo negli aridi dati anagrafici l'energia di un racconto commosso e partecipe. E tutto grazie a quell'emozione infantile, a quel felice smarrimento che forse ricordiamo e ancora ci appartiene, appena varcata la soglia di una sala buia illuminata da un grande schermo.
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