«Fotografare il tempo», come cambia Pompei: 80 opere in mostra al Mann

«Fotografare il tempo», come cambia Pompei: 80 opere in mostra al Mann
In ottanta opere-documento di Claudio Sabatino le trasformazioni di Pompei e del suo territorio, testimonianza storico-iconografica del complesso rapporto tra architettura antica...

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In ottanta opere-documento di Claudio Sabatino le trasformazioni di Pompei e del suo territorio, testimonianza storico-iconografica del complesso rapporto tra architettura antica e moderna: si apre domani al Museo Archeologico di Napoli la mostra «Fotografare il tempo. Pompei e dintorni» a cura di Giovanna Calvenzi, nelle sale del Toro Farnese e della Meridiana, con un omaggio alle terme di Caracalla da dove provengono le celebri statue romane della collezione del Mann (fino al 15 marzo).


Gli scatti riassumono il lungo lavoro fotografico svolto sia negli scavi vesuviani che attorno ad essi e ben oltre, dall'artista stabiese che vive tra Pompei e Milano. Una mostra che vuole contribuire a mantenere vivo il dibattito sulla conservazione e la salvaguardia dei monumenti e dei luoghi antichi. «Tutela consapevole è prima di tutto ferma opposizione alle speculazioni edilizie - dice il direttore del Mann Paolo Giulierini - ma anche, ad esempio, freno alle centinaia di scavi archeologici che non prevedano un piano di corretta conservazione di ciò che si decide di lasciare en plein air». 

L'allestimento e il catalogo consentono di esaminare come in molti luoghi simbolo (Pompei, Napoli, Area Flegrea) vi siano un prima e un dopo, spesso antitetici. In mostra anche sette fotografie delle Terme di Caracalla che l'artista ha realizzato per incarico del direttore del Mann. «È un grande onore per il Mann - sottolinea Giulierini - essere parte attiva di un progetto espositivo che riunisce, almeno concettualmente, sotto il segno della fotografia, le opere del Toro e dell'Ercole Farnese con le Terme di Caracalla. Due grandi attrattori culturali si legano con una doppia esposizione di grandi scatti di Sabatino che permettono non solo di suggerire quale poteva essere la vertigine per chi si trovasse a visitare gli impianti con i gruppi scultorei nell'antichità, ma anche di riflettere sulle 'separazionì che sono state causate da una frammentazione politica che ha visto l'Italia raggiungere troppo tardi lo stadio di Stato Unitario».


«Sabatino stesso ricorda di aver voluto procedere come un archeologo - sottolinea la curatrice Calvenzi - prelevando campioni di realtà, scomponendola per ricostruire poi un quadro complessivo che desse conto dell'organizzazione strutturale degli spazi. Usa un linguaggio diretto, frontale, che documenta, rispetta e che intenzionalmente non interpreta. Il suo modo di narrare risente della lezione americana del linguaggio documentario suggerita già negli anni Trenta da Walker Evans che teorizzava il rispetto oggettivo del paesaggio». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino