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Riappare un libro sorprendente per il tema, ma anche per le modalità compositive, L'anno dell'indiano (Einaudi, pagine 210, euro 18,50). Ernesto Ferrero, direttore editoriale di lungo corso, ne aveva già proposto due versioni, nel 1980 e nel 2001. Quella attuale è consegnata ad una strutturazione del tutto rinnovata, a cominciare dal titolo che fa riferimento ad un anno, il 1924, in cui le cronache dedicano grande spazio, insieme al delitto Matteotti, ad un personaggio decisamente fuori dell'ordinario, tal Edgar Laplante, camuffatosi come Chief White Elf, Cervo Bianco, discendente di capitribù, venuto in Europa per difendere i diritti calpestati degli Indiani, di cui sostiene di essere il sovrano indiscusso. In Italia è venerato da folle in delirio, omaggiato con tutti gli onori da industriali, autorevoli personalità politiche e ricchi nobili. Il suo abbigliamento («la casacca di daino, la camicia di seta arancione, le collane, le piume sontuose che frinivano al vento») ne incrementa il fascino di travolgente incantatore. Si proclama sostenitore del fascismo, elargisce somme di danaro ai poveri. Agli occhi delle donne appare in concorrenza con D'Annunzio e Mussolini, ammirati per le loro presunte capacità amatorie.
L'Italia intera è rapita dal richiamo delle sue capacità seduttive. «L'Altezza indiana» avverte ogni giorno una sensazione di onnipotenza. Propone al Duce una marcia su Ginevra, indirizzata alla Società delle Nazioni e organizzata insieme dalle camicie nere e dagli indiani. Cerca anche di ottenere un'udienza con il Papa che, pur non ricevendolo, gli invia due foto firmate. Le sue apparizioni sono performance di un vero attore, che ha consegnato il proprio carisma all'indistinzione tra verità e finzione.
Ben presto, tuttavia, tra le calorose acclamazioni si insinua il sospetto che si tratti di un mitomane. È abbandonato da tutti i sostenitori, comprese due nobildonne austriache, madre e figlia, che lo avevano accolto nella loro sfarzosa dimora, mostrandogli totale venerazione.
Ferrero ha saputo trarre profitto dai tanti testi con cui la sua attività di lettore di professione lo ha messo in contatto. La storia procede lungo una pluralità di espedienti figurali: lettere dei personaggi della storia, ritagli di giornali, dichiarazioni del protagonista, commenti dei suoi sostenitori (poi suoi detrattori). Le risorse della narrazione esprimono con perfetta adesione la labirintica recitazione dello «straniero ammaliatore», che oggi, sui social, annota l'autore nella nota posta in appendice, sarebbe «seguito da milioni di followers adoranti in un mondo in cui le narrazioni menzognere e strumentali stanno prendendo il posto della realtà».
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