Ernesto Ferrero e l'anno dell'indiano: quel pellerossa in camicia nera

Il ritorno di Cervo Bianco, venuto in Europa per difendere i diritti calpestati degli Indiani

Ernesto Ferrero e l'anno dell'indiano
Ernesto Ferrero e l'anno dell'indiano
di Antonio Saccone
Sabato 29 Luglio 2023, 08:00
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Riappare un libro sorprendente per il tema, ma anche per le modalità compositive, L'anno dell'indiano (Einaudi, pagine 210, euro 18,50). Ernesto Ferrero, direttore editoriale di lungo corso, ne aveva già proposto due versioni, nel 1980 e nel 2001. Quella attuale è consegnata ad una strutturazione del tutto rinnovata, a cominciare dal titolo che fa riferimento ad un anno, il 1924, in cui le cronache dedicano grande spazio, insieme al delitto Matteotti, ad un personaggio decisamente fuori dell'ordinario, tal Edgar Laplante, camuffatosi come Chief White Elf, Cervo Bianco, discendente di capitribù, venuto in Europa per difendere i diritti calpestati degli Indiani, di cui sostiene di essere il sovrano indiscusso. In Italia è venerato da folle in delirio, omaggiato con tutti gli onori da industriali, autorevoli personalità politiche e ricchi nobili. Il suo abbigliamento («la casacca di daino, la camicia di seta arancione, le collane, le piume sontuose che frinivano al vento») ne incrementa il fascino di travolgente incantatore. Si proclama sostenitore del fascismo, elargisce somme di danaro ai poveri. Agli occhi delle donne appare in concorrenza con D'Annunzio e Mussolini, ammirati per le loro presunte capacità amatorie.

L'Italia intera è rapita dal richiamo delle sue capacità seduttive. «L'Altezza indiana» avverte ogni giorno una sensazione di onnipotenza.

Propone al Duce una marcia su Ginevra, indirizzata alla Società delle Nazioni e organizzata insieme dalle camicie nere e dagli indiani. Cerca anche di ottenere un'udienza con il Papa che, pur non ricevendolo, gli invia due foto firmate. Le sue apparizioni sono performance di un vero attore, che ha consegnato il proprio carisma all'indistinzione tra verità e finzione.

Ben presto, tuttavia, tra le calorose acclamazioni si insinua il sospetto che si tratti di un mitomane. È abbandonato da tutti i sostenitori, comprese due nobildonne austriache, madre e figlia, che lo avevano accolto nella loro sfarzosa dimora, mostrandogli totale venerazione. Lo stesso Mussolini, che pure all'inizio lo aveva considerato con simpatia, non ne gradisce più la sintonia. Smascherato ormai come truffatore, Cervo Bianco si rifugia in Svizzera. Qui lo raggiunge un mandato di cattura. Verrà processato e condannato a cinque anni di carcere. In prigione conosce Massimo Mila, arrestato in quanto sottoscrittore di una lettera di solidarietà a Benedetto Croce, offeso da Mussolini. L'illustre musicologo dà un giudizio indulgente del suo compagno di cella. Il segretario di Cervo Bianco che si incarica di tenere legati i fili della narrazione ritiene legittimo l'accostamento della vita del «Principe» a quella del pirandelliano Enrico IV e altrettanto plausibile la corrispondenza della contessa madre con il personaggio di Matilde e di Antonia, la figlia, con quello di Fida. E alla domanda perché abbia messo in piedi la sua mirabolante messinscena l'abile simulatore risponde che l'ha fatto per «la folla febbricitante che premeva contro i carabinieri di servizio con il peso inerte di una mandria», anche se sa che non gli è stata grata: «Ma non importa. Io sono come il pellicano, che nutre i piccoli delle proprie carni. A me basta averli nutriti. Alla mia gloria non occorre altro». È ben disposto ad accettare (facendosene anche un vanto) la diagnosi dello psichiatra che, dopo averlo esaminato, riscontra in lui l'ossessione di praticare «lo sport della fantasia»: «Ma non è questo appunto il teatro, la letteratura? E il Don Chisciotte? E I viaggi di Gulliver? Finzioni, bugie, fole! Il dottore avrebbe potuto rinchiudere nei sotterranei del suo manicomio i tesori della letteratura occidentale».

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Ferrero ha saputo trarre profitto dai tanti testi con cui la sua attività di lettore di professione lo ha messo in contatto. La storia procede lungo una pluralità di espedienti figurali: lettere dei personaggi della storia, ritagli di giornali, dichiarazioni del protagonista, commenti dei suoi sostenitori (poi suoi detrattori). Le risorse della narrazione esprimono con perfetta adesione la labirintica recitazione dello «straniero ammaliatore», che oggi, sui social, annota l'autore nella nota posta in appendice, sarebbe «seguito da milioni di followers adoranti in un mondo in cui le narrazioni menzognere e strumentali stanno prendendo il posto della realtà». 

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