Ernesto Ferrero è morto, addio all'ultimo «signore dei libri»

Protagonista del mondo editoriale italiano, se n'è andato a 85 anni dopo una lunga malattia

Ernesto Ferrero
Ernesto Ferrero
di Generoso Picone
Mercoledì 1 Novembre 2023, 08:00 - Ultimo agg. 16:42
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«Forse bisogna partire proprio da qui, dalla felicità». Quando Ernesto Ferrero prese a raccontare - era il maggio 2005, in I migliori anni della nostra vita (Feltrinelli) il romanzo della sua vita trascorsa nelle stanze torinesi dell'Einaudi, l'educazione sentimentale e intellettuale ricevuta nell'«Olimpo di via Biancamano» come con emozione lo definì, scelse subito di fare i conti proprio con un'idea complessa, insondabile e incantevole. La felicità. Che era «il gusto di inseguire qualcosa che aspetta al di là dell'orizzonte conosciuto, di scovare prima degli altri le cose che stanno nascendo o maturando. Correre senza fermarsi, non accontentarsi mai, guardare sempre avanti, rilanciare la posta. Voluttà della scommessa». Per lui lavorare con i libri e per i libri era ed è stato questo: nobilissimo e coraggioso mestiere esercitato in tutte le declinazioni possibili, da editore, narratore, traduttore e organizzatore culturale. Nel segno di quanto Giulio Einaudi ripeteva incessantemente: «Editoria è conoscenza degli uomini». 

Ferrero è scomparso a 85 anni dopo una lunga malattia a Torino, la città dove era nato il 6 maggio. Elegante, sobrio, ostinato e straordinario cultore di una filosofia della cultura che oggi appare purtroppo arcaica e addirittura superflua, se ne è andato a due settimane dal centenario della nascita di Italo Calvino, l'amico e sodale a cui aveva dedicato il suo ultimo lavoro, il racconto biografico Italo appena uscito da Einaudi.

Ricordando quanto Calvino aveva scritto nel 1985 nelle Lezioni americane e cioè che «la mia fiducia nel futuro della letteratura consiste nel sapere che ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici», viene da dire che il percorso di Ferrero si possa davvero collocare tra quella celebrazione della felicità come progetto e la dichiarazione di eternità della parola scritta. L'azzardo di cogliere il mondo attraverso le storie. 

Ferrero doveva essere mosso da tale entusiastica energia il giorno del 1963 in cui mise piede nella casa di Giulio Einaudi, Giulio Bollati, Primo Levi, Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Massimo Mila, Roberto Cerati, Italo Calvino, Daniele Ponchiroli, Natalia Ginzburg: venticinquenne, aveva lasciato l'impiego in una società di assicurazioni. Come Frank Kafka. Primo incarico all'ufficio stampa, fino ad assumere il ruolo di direttore letterario nel 1970 e quindi, dopo gli anni delle scissioni e degli strappi ed essere passato alla Boringhieri e alle edizioni Comunità, direttore editoriale dal 1984 al 1989, il quinquennio tormentato e difficile del commissariamento dovuto alla devastante crisi finanziaria che lo vide protagonista di un salvataggio che pareva impossibile. Ai vertici anche di Garzanti e Mondadori, aveva saputo condurre in porto imprese complicatissime fornendone prova dal 1998 al 2016 nella direzione del Salone del Libro di Torino, al fianco di Rolando Picchioni. «Un salvataggio miracoloso. Si vede che il clima da catastrofe imminente mi carica a palla», ricordava con ironia, carezzando la rosa di carta immancabilmente all'occhiello della giacca, portafortuna regalatogli dall'amico Umberto Allemandi.

Gli impegni manageriali non lo avevano comunque distolto dalla pratica della scrittura. Esordiente nel 1972 con un romanzo per bambini, L'ottavo nano, nel 2000 con N (Einaudi) aveva vinto il Premio Strega: raccontava il Napoleone all'Elba, l'epica di una sconfitta la dedica è per Giulio Einaudi e l'omaggio a un personaggio che Ferrero avrebbe studiato con profondità antropologica. Il fatto è che lui prediligeva le psicologie estreme: Gilles de Rais di cui espose la biografia in Barbablù (1998), il capo pellerossa Chief White Elk in L'anno dell'indiano del 2001, rendeva onore all'ultimo viaggio del capitano Salgari a Torino abitava a poca distanza dalla sua casa in Disegnare il vento nel 2011, rievocava l'avventura di San Francesco alle crociate in Francesco e il sultano del 2019. Da critico si era cimentato con Carlo Emilio Gadda e Primo Levi. Di Pier Paolo Pasolini diceva che fosse «uno sciamano». Di Elsa Morante che avesse «intuitività proverbiale». Traduceva, non caso, Louis-Ferdinand Céline, assieme a Gustave Flaubert e Georges Perec. Spiegava di essere «affascinato da quello che è lontanissimo da me. Cercando di capire come funzionavano. Tutti a loro modo dei folli, degli invasati, degli eccessivi, ma è proprio nell'eccesso che si può sondare il mistero dell'uomo». 

L'unica concessione a una palese passione per Ferrero resta Amarcord bianconero del 2018, sugli anni '50 e '60 nelle memorie autobiografiche di un giovane tifoso juventino. È stato presidente onorario del Centro internazionale Primo Levi, nel 2012 il presidente Giorgio Napolitano lo aveva nominato commendatore. In Album di famiglia del 2022 c'è la galleria di ritratti degli scrittori incrociati. Non ne era immalinconito, «ho potuto raccontarli perché mi sono sempre trovato benissimo nella parte del testimone secondario». 

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