Alma che visse in fondo al mare, amore e mistero a Procida con ​Martin Rua

Alma che visse in fondo al mare, amore e mistero a Procida con Martin Rua
Ha il sapore del Caribe di Gabriel Garcia Marquez la Procida di Alma che visse in fondo al mare, il nuovo romanzo di Martin Rua (Polidoro editore, 412 pagine, 16 euro). Svestendo...

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Ha il sapore del Caribe di Gabriel Garcia Marquez la Procida di Alma che visse in fondo al mare, il nuovo romanzo di Martin Rua (Polidoro editore, 412 pagine, 16 euro). Svestendo per una volta i panni dell'autore di thriller esoterici, lo scrittore napoletano ci regala un'appassionante vicenda di sentimenti e d'arte che un po' ricorda le atmosfere e le tinte di L'amore ai tempi del colera e Dell'amore e di altri demoni.

Protagonisti sono due adolescenti: Napoleone, detto Napò, uno dei più abili pescatori dell'«isola del Postino» non a caso sempre più topos letterario per le narrazioni d'amore e Alma, la figlia di un capitano petroliere del posto che ha fatto fortuna in America. Alma che di cognome fa Scotto di Santillo si reca con la sua famiglia in vacanza sull'isola nell'estate del 1960 e lì andrà incontro al suo destino. Sua madre, deceduta qualche anno prima, era la giamaicana Precious, una donna bellissima dalla quale lei ha ereditato la pelle color caffè, le treccine scure ma soprattutto due occhi profondi e verdi come una pianta marina. Sono questi gli aspetti che faranno perdere la testa a Napoleone Lubrano di Scampamorte altro sbalorditivo nome procidano , un giovane dai tratti saraceni e dagli occhi azzurri, sciupafemmine e incredibilmente abile nelle immersioni marine e nella pesca dei ricci da essere considerato una sorta di novello Colapesce.

Ma Napò ha anche un'altra grande qualità: ha ereditato dall'amato zio Vastiano, un tipo malinconico e solitario che vive in una casetta panoramica su Punta Lingua, la bravura per la pittura e per la scultura. Un talento naturale che in breve tempo, partendo dalla creazione di alcuni ex voto, conquisterà tutti e renderà celebre Napoleone, tanto da farlo soprannominare il Caravaggio di Procida, avendo tra l'altro sangue del Merisi nelle vene.

È proprio da alcune opere giovanili di Napò, vendute all'asta a New York e acquistate inconsapevolmente dalla figlia di Alma, che parte una narrazione capace di snodarsi tra passato e presente, dagli anni Cinquanta fino a oggi. 

Sullo sfondo c'è sempre lei, l'isola di Arturo, nei suoi anfratti più celebri la Corricella, Terra Murata, la Chiaiolella ma anche quelli meno noti ai più, come Solchiaro o la Silurenza. Tra il suono di un tango e il sapore del liquoroso agrumetto, Procida si rivela un grembo di leggende e d'incantesimi.

Ed è qui che i lettori di Martin Rua ritroveranno i temi più cari all'autore, appassionato di esoterismo, antropologia e storia delle religioni. C'è tanto mistero tra le pieghe della passione d'amore, come l'autoctona tradizione dei «quadrilli», piccoli quadri-reliquiari composti perlopiù da veli ripiegati che le donne del posto solevano interrogare per ottenere profezie, ma anche alcune strizzate d'occhio al Cristo Velato e ai Templari. A opporsi all'amore tra Alma e Napoleone sarà la «monaca di casa» regina Assante di Tatisso, una conturbante megera invidiosa della felicità altrui. Come andrà a finire? È tutto da leggere.

Al di là della trama, quello di Rua resta, nel solco della Morante, uno degli omaggi recenti più riusciti all'attuale capitale italiana della cultura, ritratta nel momento in cui non era un'isola turistica ma un luogo dell'anima impossibile da lasciare, orgogliosamente geloso della sua unicità. Napoleone, che crederà fino in fondo all'esistenza dell'amore assoluto, ne diverrà il custode perfetto. Nel suo ricordo Alma, ormai anziana, compirà un ultimo viaggio a Procida, ricostruendo la genesi di una storia di cui, nei tempi cupi di guerra che viviamo, vi è bisogno come l'ossigeno prima di un'immersione. 

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Il Mattino