Peppe Lanzetta, Un Messico napoletano torna in libreria: «Raccontavo le periferie quando erano invisibili»

«Chi nasce in quelle periferie, ieri come oggi, è segnato dal marchio del dolore»

Peppe Lanzetta
A quasi trent'anni dalla prima edizione (Feltrinelli, 1998, ma era stato scritto quattro anni prima) torna in libreria per la Roberto Nicolucci editore Un Messico napoletano...

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A quasi trent'anni dalla prima edizione (Feltrinelli, 1998, ma era stato scritto quattro anni prima) torna in libreria per la Roberto Nicolucci editore Un Messico napoletano (pagine 163, euro 18) di Peppe Lanzetta, la storia crudele e spietata della Rossa, una diciannovenne della periferia partenopea che cerca il riscatto attraverso il sesso, le avventure occasionali, l'amore malato per Marco, un tossico eroinomane, spacciatore, truffatore: proprio Anna e Marco, come un capolavoro di Lucio Dalla (e la musica, e i musicisti, come sempre nell'arte di Peppe sono protagonisti, non solo colonna sonora in sottofondo). Finirà in tragedia, con un sottofondo di rabbia, odio, vendetta e indifferenza a tutto che accomuna tutti: chi stupra, chi è stupra, chi è stuprato, chi uccide, chi commissiona omicidi, chi infetta.... Ma qui tutti sono infettati, non solo dall'eroina e dall'Aids, c'è un morbo che scava nelle coscienze, trasforma i sogni in incubi. «Peppe Lanzetta è uno scrittore perfetto. Si occupa di bellezza e disperazione. Riuscendo a trovare una dentro l'altra, specchiandosi e riflettendosi continuamente, con la naturalezza di chi conosce la vita. Peppe Lanzetta conosce la vita diversamente da altri. Perché riconosce a istinto i suoi meandri più bui, dunque imprevedibili. Cos'è il buio se non il regno dell'imprevedibile? E senza mai aver paura di affrontare l'autentico. Un Messico napoletano è un grande, lampante esempio della sua immortale arte di scrittura», scrive nella breve prefazione Paolo Sorrentino. Il libro si presenta alle 18 a Palazzo De Sangro di Vietri, la sede della casa editrice in piazzetta Nilo. Con l'autore, l'editore Roberto Nicolucci, Federico Vacalebre, Marco Zurzolo e il suo sassofono.

Trent'anni fa, Lanzetta, il suo «Messico napoletano» continua il discorso dell'esordio che dava voce al «Bronx napoletano». Che continua anche nelle poesie di «Ridateci i sogni» che riprende a fine volume.
«In quegli anni delle periferie nessuno scriveva, si osannava il rinascimento napoletano e io mi spinsi oltre, nel buio dei quartieri dove i taxi si rifiutavano di andare e chi ci abitava si vergognava di dirlo. Sono stato il primo a raccontare storie disperate e amare ambientate tra Barra, Ponticelli, Secondigliano, Volla, San Pietro a Patierno. Quando uscì, il romanzo era inattuale, tutti mi dicevano che stavo trent'anni avanti. Ecco, i trent'anni sono passati e adesso quest'opera è al passo con i tempi: postdatata».

Chi è oggi la Rossa?
«Una ragazza che ho visto salire nella metropolitana a Scampia ieri mattina. Ha gli AirPods, lo sguardo incollato all'iPhone, un paio di piercing, le tette baldanzose e naturali, lo zainetto e l'occhiale nero che quando toglie mostra gli occhi più belli del mondo. Belli ma freddi, narcotizzati. La Rossa di oggi non ha più quella curiosità di capire il mondo e conoscere l'altro, sia pur facendo marchette al casello della tangenziale di Capodimonte».

Che cosa rimane in comune alle due?
«Chi nasce in quelle periferie, ieri come oggi, è segnato dal marchio del dolore e fa difficoltà a emergere, ad avere opportunità di crescita».

In questi anni anche le periferie sono cambiate. Scampia è diventata location televisiva, si è trovata ribattezzata come Gomorra, ma ha anche aperto l'università.
«Le battaglie fatte per le periferie, le denunce a suon di letteratura e teatro non sono state vane: anche con la mia resistenza qualcosa l'ho, l'abbiamo ottenuta, o almeno mi illudo che sia così».

Si illude?
«Le periferie è vero che per certi aspetti sono migliorate, però hanno anche allungato i loro tentacoli fino al centro di Napoli. Alcune strade cittadine sembrano enclave di Piscinola, Melito, Casavatore. E poi se alcune zone della vera periferia sono cambiate lo hanno fatto omologandosi. Chi si salva, oggi, fa rap o hip-hop».

I giovani non sognano più?
«Perché non sono stati educati alla rinuncia. Per sognare bisogna avere fame, desideri, voglie. Chi ha tutto e subito non sogna, è un cervello atrofizzato manipolabile dai potenti».

Qual è il suo sogno?
«Che finalmente questo romanzo diventi film. All'epoca fu opzionato dalla società di produzione di Massimo Troisi, mi chiamò Anna Pavignano per scrivere insieme la sceneggiatura ma non mi sentivo pronto. Adesso lo sono, è il momento giusto».

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«Spero che sia di esempio per i tanti scrittori napoletani che cercano editori milanesi e torinesi. Basta con gli editori nordisti, prendiamoci il vaporetto per Ischia. Si guadagna di meno ma i soldi non sono tutto».  Leggi l'articolo completo su
Il Mattino