Quella volta che alla casa di Ventura e Matalena, lì nella campagna tra Caserta e Napoli, arrivò Sergej Aleksandrovic Esenin: lui, il poeta contadino che della...
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Certo, racconti sparsi, «perlopiù testi narrativi, mescolati a falsa biografia, in gran parte inediti», scanditi negli anni quasi ad accompagnare l'attività giornalistica per decenni a «Il Mattino» e narrativa dal 2005 segnata da una scrittura colta anche quando si misurava con la cronaca, quasi scaturita dal ceppo del Giambattista Basile de Il cunto de li cunti e temperata da un gusto letterario alimentato dalle pagine della migliore prosa nordamericana. Ma proprio la disunarietà dell'opera consegna l'unitarietà del tema, il filo nascosto di cui Treccagnoli parla. È quella che lui definisce «la scoperta del tempo». La drammatica e a tratti angosciosa consapevolezza della finitezza del percorso che potrebbe definirsi la verità del professor Unrat, il protagonista del romanzo di Heinrich Mann da cui sarebbe venuto «L'angelo azzurro» con Marlene Dietrich dove si coglie il dramma per molti versi tragico delle età della vita che declinano e la sostanziale inefficacia dei meccanismi difensivi che si possono allestire per evitarlo. Pietro Treccagnoli cita «l'ombra decisiva sull'angelo azzurro del professor Unrat» nell'esergo di Salva con nome e il titolo del suo libro allora non appare soltanto l'indicazione del gesto informatico che mette in casella digitale i documenti realizzati, ma va a incidere profondamente sull'azione compiuta, il fare memoria che è esattamente fare i conti con il proprio tempo. Treccagnoli, per salvare davvero con il suo nome, deve impegnarsi in un'operazione di scavo. Parte dallo specchio di Alice intravisto nella casa dei nonni contadini Ventura e Ze' Pieto, la soglia del Paese delle Meraviglie che è il mondo contadino dell'appartenenza popolato di favole e orchi per andare alla scoperta dei riti e dei miti che lo accompagneranno - il San Gennaro reso umano da Nicola Punziano -, delle linee familiari delle origini - il nonno Pietro, lo zio Luigi -, della realtà che lo circonda l'eduardiano Domenico Maggiore meccanico fieramente di Ponticelli, ma anche le canzoni della personale colonna sonora della giovinezza per giungere al vero nome da salvare. L'incontro con il padre conosciuto troppo poco, del quale gli è rimasto soltanto un apriscatole nazista, il protagonista del romanzo familiare incompiuto e lasciato nell'icona del desk fino al momento in cui arriva un Josip dal villaggio degli Urali e si prova a pensare di spiegargli il «sega-sega mastu Ciccio» della propria infanzia. Racconto molto bello, teso nell'emozione inquieta di un interrogativo che cos'era la vita per lui? e chiuso da un fermo immagine. «Tutto passa, in preda all'ora della sfioritura, diceva il poeta contadino, io non sarò più giovane». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino