Quell'ultimo Stevenson: ritorna «St. Ives», libro incompiuto del grande scrittore scozzese

Quell'ultimo Stevenson: ritorna «St. Ives», libro incompiuto del grande scrittore scozzese
Un giorno disse: «Ogni scrittore che vale qualche cosa muore e rinasce continuamente». È un'osservazione che compendia la fortuna della versione italiana di...

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Un giorno disse: «Ogni scrittore che vale qualche cosa muore e rinasce continuamente». È un'osservazione che compendia la fortuna della versione italiana di St. Ives o Le avventure di un prigioniero francese in Inghilterra, il romanzo a cui Robert Louis Stevenson stava lavorando nelle settimane che precedettero la sua morte, il 3 dicembre del 1894, avvenuta per una emorragia cerebrale a soli 44 anni a Vailima, nell'arcipelago delle Samoa. Lasciato incompiuto al trentesimo capitolo, fu terminato da Arthur Quiller-Couch, che seguì con rigore le indicazioni che l'autore di L'isola del tesoro aveva lasciato alla figliastra Isobel Strong.


Il libro uscì una prima volta in Italia nel 1909, per i tipi della Società Editrice Laziale. Venne ristampato quasi sessant'anni dopo dalla Mursia, che lo inserì nel terzo volume, del 1968, delle opere complete del grande narratore scozzese. Poi più niente. St. Ives, insomma, scomparve dalle nostre librerie, negando alle lettrici e ai lettori di Stevenson la bella occasione di appassionarsi all'ultimo suo romanzo non finito come il Weir di Hermiston, di cui compose però pochi capitoli. Il vuoto, ora, è stato colmato. Dopo oltre mezzo secolo, St. Ives ritorna in volume singolo con una nuova traduzione di Giulia Lopopolo, e con un dotto saggio di Marco Catucci, grazie alla Robin-Biblioteca del Vascello (pagine 400, euro 18).


Di ambientazione in buona parte scozzese, con pagine che rammentano certi paesaggi e certi personaggi di Il ragazzo rapito e di Catrìona, St. Ives è un classico romanzo d'avventura, del tutto picaresco e un po' alla Tobias Smollet (quello di Roderick Random), in cui sono narrate le gesta del visconte Anne de Keroual de St. Ives, un giovane e affascinante soldato di Napoleone catturato in guerra dagli inglesi e imprigionato nel castello di Edimburgo. La fuga rocambolesca dal castello, le tante avventure tra duelli, inseguimenti, locandieri e furfanti assortiti, naufragi e persino un pallone aerostatico, fino all'amore per una fanciulla scozzese di nome Flora, scandiscono la storia. Una storia che si legge davvero tutta d'un fiato, con un piacere del testo che pochi, oltre a Stevenson, sono stati capaci di regalare. Tra le tante trovate godibili c'è anche un incontro fra il visconte e il sommo Walter Scott, il bardo di Ivanhoe e della vecchia Scozia.


Non riuscendo più a scrivere direttamente a causa dei vari malanni che lo affliggevano, Stevenson cominciò a dettare il libro alla figliastra Isobel, sua fedele amanuense. La nuova storia, in ogni caso, gli dava un po' di «sollievo», proprio quando si stava aggravando la malattia ai polmoni. E nelle pagine del romanzo il suo «sollievo» erompe nella celebrazione vibrante, e nostalgica, di ciò che aveva innervato la sua vita e le sue opere: la gioventù, l'avventura, la libertà, il mistero, il fantastico.


Non fu comunque una composizione facile. In quei mesi, fra il 1893 e il 1894, Stevenson venne pure costretto a trascorrere dei lunghi periodi di assoluto riposo. A un certo punto, per via di un'influenza e del pericolo di un'emorragia, il medico gli impose di non parlare. Così Isobel gli insegnò il linguaggio dei sordomuti, con cui lo scrittore riuscì andare avanti nella narrazione di St. Ives.


Solo la morte non permise a Stevenson di concludere il romanzo. Si pensò allora di affidare ad Arthur Conan Doyle, il creatore di Sherlock Holmes, gli ultimi capitoli mancanti. Come rammenta Marco Catucci nel saggio presente nel volume, Conan Doyle, scozzese come Stevenson e in buoni rapporti con lui, però «rifiutò cortesemente l'offerta: aggiungere tre capitoli a quel beautiful and delicate book sarebbe stato per lui imbarazzante come aggiungere un altro atto all'Amleto di Shakespeare». L'autore di Uno studio in rosso diede così a Stevenson il più ambito riconoscimento che si potesse dargli. Leggi l'articolo completo su
Il Mattino