Walter Chiari genio irregolare che confessava di aver vissuto

A cento anni dalla nascita esce 100% Walter, sottotitolo Chiari. Biografia di un genio irregolare

Walter Chiari
Mina, nella nota introduttiva: «Formidabile macchina da guerra, divo assoluto. La gente lo scongiurava per avere un suo sguardo. Con un'inflessione di voce faceva...

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Mina, nella nota introduttiva: «Formidabile macchina da guerra, divo assoluto. La gente lo scongiurava per avere un suo sguardo. Con un'inflessione di voce faceva svenire battaglioni di donne»; Tony Renis: «È stato il fidanzato d'Italia, amato da tutti»; Indro Montanelli: «Avrebbe meritato 30 anni di prigione per lo spreco del suo talento». E lui, di se stesso, a pochi anni dalla morte: «Ho avuto vent'anni fino a poco tempo fa... non sono invecchiato per più di mezzo secolo. Sono stato un interminabile ragazzo... e quel ragazzo che ero non andrà mai via del tutto». Molti sostantivi e aggettivi sono stati scomodati per definire la galassia Walter Chiari: eroe popolare, semplice e complesso, svagato, irregolare, bugiardo, dissipatore, genio e sregolatezza, creatura di contagiosa simpatia e ironica leggerezza, libera e anticonvenzionale, insofferente alla disciplina e, dunque, scomoda; inguaribile Peter Pan.

Difficile racchiudere in un volume gesta, sorprese, follie, cadute, successi e arte di un mattatore indiscutibile, ma non dichiarato. La sfida è stata raccolta dal figlio, Simone Annicchiarico, conduttore televisivo, nato dall'unione con Alida Chelli; e da Michele Sancisi, autore tv e giornalista, che al Walter nazionale già dedicò una ricerca a 20 anni dalla scomparsa. Ora, per i cent'anni dalla nascita (8 marzo 1924), i due firmano 100% Walter, sottotitolo Chiari. Biografia di un genio irregolare, edito da Baldini+Castoldi (pagine 480, euro 22), in libreria da martedì.

Il suo primo pregio è, indubbio: ridare lustro a un formidabile intrattenitore, relegato in un oblio che non merita e che impedisce alle nuove generazioni di constatarne lo smisurato talento; il secondo è la chiara semplicità della sua struttura. Sancisi e Annicchiarico, infatti, si sono divisi i compiti: l'uno scrivendo in tondo, l'altro in corsivo (per segnare graficamente la differenza narrativa) dipanano vita morte e miracoli dell'«eroe nazionale», l'uno con sguardo più sereno e distante, pur se appassionato; l'altro, ovviamente, con quello, intimo, rivolto al «babbo» e al suo privato. Ed entrambi compongono il puzzle esplosivo, colorato e ipercinetico di chi si ostinò, per indole, a non prendere la vita seriamente; di chi dettò il seguente epitaffio, poi mai apposto sulla sua tomba: «Non piangete, amici, è solo sonno arretrato».

Sancisi ripercorre le tappe della scalata al successo, dagli esordi tra i compagni operai dell'Isotta Fraschini al divo amato da Ava Gardner, Lucia Bosè e Alida Chelli; dall'amicizia con Gene Hackman, Roger Moore e Anthony Quinn, allo schiaffo al fotografo che ispirò una scena della «Dolce vita»; e alla conquista prima dell'Italietta post-bellica, poi di quella del boom. Maurizio Porro, nella prefazione: «Chiari fu una rivoluzione nel varietà». Perché «non era un comico buffo, non aveva trucchi visibili, non portava costumi per far ridere, non faceva le facce, non parlava a doppi sensi, insomma non era né Macario né Dapporto, ma un tipo normale. E anche un bel ragazzo, una novità per i comici». In lui «l'umorismo nasceva dalla dialettica... La sua parlantina... era sciolta e si imparentava con l'osservazione della realtà e delle sue mode culturali».

E ci riusciva non perché avesse studiato a scuola (la detestava), ma perché era un curioso onnivoro e gran lettore. Chiari inventò il comico colto, giusto per l'evoluzione della società e dei costumi coevi. «Aveva il magico dono di sintonizzarsi col pubblico grazie soltanto alla parola», un effluvio ben risciacquato in Arno, spesso paradossale, dove il nonsense banchettava con i classici, il sacro con il profano, l'iperbole con il demenziale. Annicchiarico, invece, si abbandona alla memoria di un figlio con genitore atipico, che nell'aereo da Roma a Olbia seda i passeggeri infuriati per il ritardo prendendo il microfono e improvvisando uno show di oltre mezz'ora, nel tripudio generale; oppure ferma un taxi, scende, si toglie il soprabito (di pregio) e lo pone sulle spalle di un barbone infreddolito.

Con acuta intuizione, Sancisi individua nel termine «Walterchiari» «una «dimensione mitica del personaggio che l'attore Walter Chiari ha creato. Non parlo banalmente di una distinzione tra il personaggio sulla scena e l'uomo fuori scena. Ma di un super-personaggio vissuto in un altrove... che è, appunto, Walterchiari. Un alter-mondo... in cui vive un (w)alter ego dell'essere umano, che in esso si è calato, rimanendone infine fagocitato. Questa dicotomia ritorna al 100% in100% Walter». Totò era in lotta con l'alter-ego De Curtis, il nostro eroe no. Walterchiari ebbe la meglio. E si offrì al mondo. Esattamente così com'era. 

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Il Mattino