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Veri invece sono i 3 milioni di euro che Giancarlo Cimoli, in carica tra il 2005 e il 2007 come presidente e amministratore delegato, incassò dopo la sua uscita. Una gestione, quella del manager cresciuto nella chimica e poi diventato famoso per aver risanato Ferrovie (da piazzale della Croce Rossa se ne andò con una liquidazione da oltre 6 milioni di dollari) che fu segnata da risultati non certo lusinghieri. Quando c'era lui la compagnia perdeva 51mila euro ogni giorno. E criticate furono anche l'assunzione di 135 piloti per pilotare cinque aeromobili del cargo o l'acquisizione della low cost Volare per «l'irragionevole cifra» di 38 milioni di euro. Almeno questa fu la valutazione del Tribunale di Roma, che nel 2015 lo condannò in primo grado per bancarotta fraudolenta.
Quando era ancora compagnia di bandiera, quindi pubblica, Alitalia è sempre stata generosa sul versante del payroll. Anche se i livelli raggiunti con Cimoli difficilmente si sono ripetuti: Mengozzi, l'uomo che ha gestito la compagnia nei difficilissimi anni seguiti all'11 settembre avrebbe portato a casa nel suo ultimo anno alla Magliana tra liquidazione e stipendi circa un milione. Andarono circa 350mila euro a Maurizio Prato, l'ex Iri che nel 2008 prima firmò il contratto di vendita ad Air France, ma poi dovette incassare il no dei francesi dopo che i sindacati bocciarono l'accordo. Da segnalare poi che in fase di privatizzazione l'ex ministro Augusto Fantozzi, a capo della bad company, avrebbe presentato al Tesoro una richiesta di liquidazione pari a 3 milioni di euro.
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Il Mattino