La Cgil va a Landini, l'uomo dei no alla Fiat

La Cgil va a Landini, l'uomo dei no alla Fiat
Gira e rigira si torna sempre a Pomigliano e alla rivoluzione Fiat della primavera 2010. Già, perché anche per Maurizio Landini - 58 anni, eletto ieri segretario...

OFFERTA SPECIALE

2 ANNI
99,98€
40€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA FLASH
ANNUALE
49,99€
19€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
 
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA

OFFERTA SPECIALE

OFFERTA SPECIALE
MENSILE
4,99€
1€ AL MESE
Per 3 mesi
SCEGLI ORA
 
ANNUALE
49,99€
11,99€
Per 1 anno
SCEGLI ORA
2 ANNI
99,98€
29€
Per 2 anni
SCEGLI ORA
OFFERTA SPECIALE

Tutto il sito - Mese

6,99€ 1 € al mese x 12 mesi

Poi solo 4,99€ invece di 6,99€/mese

oppure
1€ al mese per 3 mesi

Tutto il sito - Anno

79,99€ 9,99 € per 1 anno

Poi solo 49,99€ invece di 79,99€/anno
Gira e rigira si torna sempre a Pomigliano e alla rivoluzione Fiat della primavera 2010. Già, perché anche per Maurizio Landini - 58 anni, eletto ieri segretario generale della Cgil dopo una sofferta mediazione con l'altro candidato Vincenzo Colla, nominato vicesegretario con Gianna Fracassi - quanto accadde quell'anno nello stabilimento campano è stata una svolta. Intanto perché il suo debutto alla guida della Fiom, l'ala più dura e forte della Confederazione di Corso d'Italia, avvenne proprio in quei giorni: subentrò a Giovanni Rinaldini e fu chiamato subito a fare i conti con il piano di Marchionne per il rilancio dell'impianto di Pomigliano. Meno pause, nuovissima organizzazione del lavoro, più competitività e tecnologia in cambio di un investimento da 800 milioni di euro. E soprattutto un referendum tra gli oltre 4mila dipendenti, chiesto dall'azienda per confermare l'ipotesi di accordo che si era delineato con Fim, Uilm e Fismic: «E fu proprio questa accelerazione a mandare in crisi Landini e la Fiom ricorda Giovanni Sgambati, allora segretario regionale dei metalmeccanici Uil e oggi leader campano del sindacato perché l'idea stessa che una consultazione tra i lavoratori non fosse nata dal sindacato divenne per loro inaccettabile. Una sorta di smacco dimenticando che la posta in palio era la sopravvivenza dello stabilimento».

 
Sconfitta alle urne in fabbrica, la Fiom si irrigidì nei mesi successivi avviando una vera e propria strategia di opposizione legale nei confronti dell'accordo. Ricorsi su ricorsi, nonostante le perplessità anche di una parte della Cgil. «Si presentò qualche giorno dopo il voto ai cancelli della fabbrica ricorda Gerardo Giannone, già membro della Rsu e annunciò con l'abituale determinazione la decisione di contrastare il contratto di Pomigliano in tutti gli altri stabilimenti Fiat nei quali l'azienda lo avrebbe riproposto». Come a Mirafiori, storica roccaforte della Fiom, ma anche lì le cose non andarono nella direzione voluta dal leader delle tute blu Cgil nonostante il merito, riconosciutogli perfino dal suo nemico numero uno, Sergio Marchionne, di avere condotto sul piano mediatico una campagna importante.

Erano anni particolari per la Fiom che un anno e mezzo prima del referendum di Pomigliano aveva sostenuto e approvato l'accordo, sempre con Fiat, per l'impianto di Melfi. L'arrivo di Landini, il sindacalista emiliano sempre in felpa che non esitò a prendere le distanze anche da Susanna Camusso, segnò un profondo cambiamento di clima anche verso le altre organizzazioni di categoria che la Fiom pagò a caro prezzo. In termini di iscritti, ad esempio, ma anche di risorse dal momento che, non avendo firmato l'accordo, i suoi lavoratori non godevano più del trattamento fiscale previsto dalle norme contrattuali che regolano il rapporto tra azienda e lavoratore sindacalizzato. «Dall'isolamento alla ripresa del dialogo anche con Fim e Uilm il passo non è stato breve ma anche noi ci siamo impegnati nei confronti dell'allora Fiat perché qualche muro cadesse - spiega Sgambati -. E ci siamo riusciti anche a livello confederale visto che qualche anno dopo la Fiom sottoscrisse il nuovo contratto dei metalmeccanici e insieme a noi ottenne risultati importanti specie al Sud, in vertenze toste come quelle della Whirlpool o dell'Indesit. Lì ritrovammo il Landini pragmatico, contrattualista e dialogante che avevamo conosciuto prima dello scontro di Pomigliano».


Lui, diventato nel frattempo più conciliante anche verso la Camusso, impegnato in prima persona per il no ad un altro referendum, quello costituzionale voluto da Matteo Renzi, frequentatore abituale di talk show tv e indicato spesso sul punto di scendere in politica (ma con smentite quasi sempre puntuali), lui che a 16 anni faceva il saldatore e non esitava a schierarsi anche contro il sindacato per difendere diritti negati, è atteso da tutti al varco. Osserva Marco Bentivogli segretario nazionale della Fim che con Landini non è mai stato tenero, specie dopo le aperture al reddito di cittadinanza dei 5 Stelle: «Io mi auguro che con la sua segreteria si segni una discontinuità con la linea seguita finora dalla Cgil nella gestione Camusso che ha portato un grande sindacato ad una linea reazionaria, di opposizione politica e pressoché irrilevante». Lui, Landini, nell'unica intervista autobiografica concessa a Francesco Merlo, ribatte che il suo modello non è Che Guevara ma Massimo Troisi: «Voleva fare nel cinema quello che io voglio fare nel sindacato: ridare un orizzonte di sinistra alla rabbia, all'indignazione. Lui con la potenza del riso, io con la potenza del lavoro». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino