Dazi, 300 milioni a rischio: la Campania conta i danni

Dazi, 300 milioni a rischio: la Campania conta i danni
Tre-quattrocento milioni di euro di export campano verso gli Stati Uniti: mozzarella, pasta, vino, liquori e abbigliamento sui quali si potrebbe abbattere la ritorsione Usa della...

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Tre-quattrocento milioni di euro di export campano verso gli Stati Uniti: mozzarella, pasta, vino, liquori e abbigliamento sui quali si potrebbe abbattere la ritorsione Usa della battaglia dei cieli tra Airbus e Boeing.


Una battaglia sulle sovvenzioni che Usa ed Europa hanno concesso ai due produttori di aerei che combattono una guerra commerciale globale nella quale anche la Campania gioca la sua parte bipartisan: aerei e veicoli spaziali (e naturalmente loro parti) con 334 milioni di euro (dati Istat riferiti al 2018) sono il primo settore dell'export verso gli States. Ovviamente, in gran parte verso la Boeing. Altrettanto forti sono i rapporti con l'altro produttore, l'Airbus. E sono al riparo dalla furia di Donald Trump.
 
L'Italia guarda attonita a uno scontro che rischia di penalizzare produzioni di qualità e fatturati importanti tanto che il ministro dell'Agricoltura Teresa Bellanova, ha avvertito: «Un prezzo che per il settore è devastante» invitando l'Europa a «iniziare a immaginare strumenti di compensazione a tutela del reddito dei produttori agricoli e dell'agroalimentare italiani». E il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, interpretando le preoccupazioni della filiera agroalimentare e del sistema moda-casa ha chiesto «un'Europa più integrata» e capace di una «dimostrazione di reazione nel mondo dell'economia. E chiaramente che applichi anche una dimensione di reciprocità a chi vuole applicare dazi in danno dei Paesi europei».

L'economia campana rischia molto e, soprattutto, teme che certi percorsi di crescita ben avviati negli ultimi anni siano definitivamente compromessi.

In valore assoluto la Campania esporta circa nove milioni di euro di mozzarella di bufala: esportazioni complesse soprattutto da un punto di vista logistico. La mozzarella va negli States solo con gli aerei: il trasporto vale intorno a 25 euro al chilogrammo e al massimo può essere consumata in 21 giorni! Tempi strettissimi dall'imbarco alla distruzione con evidenti limiti di penetrazione geografica. E, tuttavia, è un prodotto molto ricercato, un «must»: Robert De Niro se la fa portare ogni mercoledì quando è a Chicago nel suo ristorante e la vuole da 250 grammi. Gli americani, tuttavia, la preferiscono da 125 grammi. Attualmente il dazio applicato alla mozzarella è di 2,5 dollari al chilo e al chilogrammo la mozzarella è venduta intorno a 45 dollari. Con l'inasprimento voluto da Trump (il 100 per cento del costo del prodotto finito, che è intorno a 20 dollari) il costo passerebbe a 65 dollari. Un prodotto di élite, prima e dopo l'eventuale applicazione del supplemento di dazio che negli ultimi anni ha trovato un aumento consistente della diffusione.

«I dazi rischiano di assestare un duro colpo al nostro mercato negli Usa - spiega Domenico Raimondo, presidente del Consorzio Tutela mozzarella di bufala campana Dop - Si tratta di un mercato in crescita e dalle grandi potenzialità, primo Paese extra Ue per il nostro export. Due settimane fa poi Assocamere estero ha sancito il trionfo della bufala campana proprio in Usa, Canada e Messico, dove la mozzarella di bufala è risultato il piatto italiano più amato e desiderato dagli influencer d'oltreoceano».

«Terribile», non usa mezzi termini Giuseppe Di Martino (Pastificio Di Martino a Gragnano e Antonio Amato a Salerno) uno dei più importanti produttori italiani di pasta. Il mercato della pasta Usa è una sorta di Tetris: c'è chi paga i dazi (del quattro per cento), chi li ha pagati e ora dopo aver vinto cause e dimostrato che non vendeva sottocosto (dumping) non ne paga, chi come il prodotto destinato ai ristoranti italiani ha una sorta di esonero «culturale». E chi, infine, come Barilla produce, dopo diverse traversie, direttamente in Usa. In ogni modo la pasta italiana importata rappresenta solo il 4 per cento del mercato a stelle e strisce. Il dazio ne farebbe raddoppiare il prezzo al chilo da 3 a 6 dollari. «In pratica - spiega Di Martino - spariremmo dal mercato del consumo di massa e resteremmo solo in quello di nicchia dell'alta qualità. Dei 100 milioni che esportiamo ora? La perdit+a sarà dal 30 al 60%».

Chi per ora guarda alla finestra è il mondo del pomodoro: 98 milioni di esportazioni al momento al riparo dalla furia americana. Il codice del prodotto non c'è nella black list consegnata dagli Usa al Wto. Ma sono gli stessi produttori che - in moltissimi casi - hanno filiere nei legumi a pagare il dazio inverso. In particolare per i fagioli che acquistano negli Stati Uniti sui quali si abbatte il dazio dell'Unione Europea di una delle tante guerre commerciali ormai in corso tra le due sponde dell'Atlantico. «Le guerre commerciali - commenta amaro il direttore dell'Anicav, l'associazione dei conservieri, Giovanni De Angelis - non convengono a nessuno», portando come esempio lo sviluppo dei rapporti con il Canada dopo la firma del Ceta, il trattato commerciale tra appunto il Canada e l'Unione Europea.


«Non ci sono solo le esportazioni dirette, noi lavoriamo per i grandi marchi e il danno dei dazi Usa potrebbe essere ben maggiore della sola quota dell'export diretto». Gino Giamundo è il presidente delle aziende del sistema Fashion di Confindustria Campania: un settore che vale 18 miliardi di euro di fatturato e 120mila addetti. «Qua - spiega Giamundo - c'è l'intera filiera della moda - dai designer, alla produzione in tutte le sue specialità e articolazioni, alla distribuzione: in Campania ci sono le produzioni di Dior, Louis Vuitton, Hérmes, Gucci: è inimmaginabile il danno per la nostra industria». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino