Anche gli esperti del mercato immobiliare si uniscono al coro di «no» alle scelte di politica economica del governo. I mutui sono infatti a rischio rincaro con lo...
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Dondi ricorda che «la ripresa del mercato immobiliare degli ultimi anni, dopo la crisi che lo aveva travolto tra il 2008 e il 2013, poggia le proprie basi principalmente su due fattori: la ritrovata fiducia sulle prospettive economiche del Paese e personali delle famiglie, nonché sulla disponibilità delle banche a sostenere una domanda uscita in molti casi malconcia dalla crisi».
Per l'ad di Nomisma «è di tutta evidenza che le tensioni legate alle scelte di politica economica di questi giorni rappresentino un fattore di indebolimento delle condizioni di contesto. In tale quadro, l'innalzamento dello spread rappresenta non un mero aspetto finanziario ma un elemento in grado di riverberarsi anche sul più reale dei mercati, ossia quello immobiliare. L'attendismo che inevitabilmente scaturisce dall'incertezza e dal deterioramento delle aspettative, associato all'accresciuta rischiosità percepita degli impieghi, che finirà presto per riflettersi in una maggiore selettività e in un ampliamento dei differenziali applicati rispetto ai tassi di riferimento applicati da parte degli istituti di credito, rappresentano per il comparto immobiliare un fattore di razionamento del combustibile che ne ha fin qui alimentato le dinamiche. Gli esiziali effetti sul settore immobiliare di una nuova stagnazione impongono una riflessione sulle ricadute reali delle scelte di politica economica oggi in discussione, a meno che non si voglia continuare a confidare su presunte capacità difensive del comparto, uscite pesantemente ridimensionate nell'ultimo decennio».
Sulla stessa linea Anedda: «Le attuali incertezze relative alla nostra economia richiamano quelle del 2012-2013, quando lo spread balzò in brevissimo tempo da 150 a 550, per oscillare poi tra 300 e 500 per tutto l'anno successivo e calare poi gradualmente grazie alle misure eccezionali messe in campo dalla Bce. Ad oggi lo spread è già salito a 300 punti, con un aumento del costo in interessi passivi del nostro debito pubblico e un calo generalizzato dei valori di borsa, a partire dai titoli delle banche che hanno finora perso mediamente il 35% del loro valore rispetto a sei mesi fa. È rimasto fino immune il settore dei mutui, perché i tassi non sono direttamente collegati allo spread. Questo scenario potrebbe però cambiare a breve avverte . A fine anno, infatti, terminerà il quantitative easing della Bce e, nel 2019, il mandato di Draghi».
L'esperto di Mutuionline ricorda che «cinque anni fa, con lo spread alle stelle, i tassi dei mutui salirono in breve tempo fino al 2% in più rispetto alle medie pre-crisi, con un costo aggiuntivo di 1.500-2.000 euro annui per chi sottoscriveva un mutuo. Il protrarsi e l'accentuarsi dell'instabilità economica avrebbe come inevitabili conseguenze un costo crescente per lo Stato, le imprese e le famiglie, a partire dalle rate dei mutui. In quest'ambito aggiunge non è certamente incoraggiante l'ipotesi di riduzione delle già magre detrazioni fiscali grazie alle quali milioni di famiglie riducono il peso sul proprio bilancio delle spese mediche, degli studi dei figli o del mutuo».
Ferrara infine spiega che le banche «hanno iniziato in questa ultima parte dell'anno a rivedere i propri listini. Nelle ultime settimane difatti abbiamo registrato aumenti generalizzati degli spread nella misura dello 0,15-0,25%, che hanno in particolare investito i prodotti di mutuo a tasso fisso. Le banche seguiranno con particolare attenzione nelle prossime settimane l'andamento dei titoli di Stato. L'eventuale aumento dei rendimenti potrebbe comportare seri problemi per i maggiori istituti di credito». Leggi l'articolo completo su
Il Mattino