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La corsa dell’Italia a nuovi fornitori di gas per sganciarci il più possibile dalla Russia e l’accelerazione sugli stoccaggi aiuta, ma non risolve. L’autunno alle porte e ancor più il prossimo inverno potrebbero riservarci brutte sorprese. Particolarmente amare per il sistema produttivo che rischia di trovarsi a dover fronteggiare non solo i rincari in bolletta, ma anche una vera e propria carenza di gas, pari a circa l’8% del fabbisogno nazionale, ovvero 6,4 miliardi di metri cubi. Per molte aziende vorrebbe dire non arrivare a fine anno. L’impatto sarebbe devastante e causerebbe numerose chiusure forzate di fabbriche e stabilimenti. A lanciare l’allarme è il centro studi di Confindustria nell’ultimo bollettino sulla congiuntura.
Il cupo scenario disegnato dagli economisti di viale dell’Astronomia si base su un’ipotesi che giorno dopo giorno appare sempre più probabile: la chiusura completa dei rubinetti del gas russo verso l’Europa. «In caso di blocco da ottobre - si legge nel bollettino - considerando le fonti alternative al gas russo già messe in campo, quelle che dovrebbero essere disponibili entro i primi mesi del 2023, l’accelerazione degli stoccaggi registrata fino ad agosto, in Italia si avrebbe una carenza di gas significativa (10,9 mmc, tra 4° trimestre 2022 e 1° trimestre 2023), ma molto inferiore a quanto stimato prima dell’estate. Usando la riserva strategica (4,5 mmc), si arriverebbe a un gap di 6,4 mmc (8% dei consumi)».
L’impatto sull’industria italiana - che complessivamente ha bisogno di 9,5 mmc di gas - sarebbe «rilevante». Nel bollettino si parla esplicitamente di «chiusure e calo del valore aggiunto».
Senza il gas russo, quindi, ci sarebbe poco da scegliere: saremmo obbligati a consumare di meno.
Le preoccupazioni ovviamente non riguardano solo gli approvvigionamenti di gas. Di fondo resta il problema del prezzo pazzo dell’energia, che a sua volta sta facendo schizzare l’inflazione erodendo il potere d’acquisto dei consumatori. A conti fatti l’incidenza del caro-bolletta sui costi delle imprese, potrebbe essere tra il 10 e l’11% nel 2022 e tra il 13,7% e il 14,6% nel 2023, ovvero più che triplicata rispetto ai valori del periodo prepandemico. E ovviamente le ripercussioni sul Pil sarebbero più che evidenti. Drammatici i risultati di due simulazioni econometriche effettuate dal Csc: se nel 2023 le quotazioni del gas dovessero rimanere intorno ai 298 euro a mwh (il livello medio atteso dai futures) il nostro Pil farebbe registrare una minore crescita cumulata nel biennio 2022-2023 del 3,2%, con la perdita di 582.000 posti di lavoro; se il prezzo dovesse mantenersi al valore medio di agosto scorso, 235 euro a mwh, la minore crescita sarebbe del 2,2%, con la perdita di 383.000 occupati.
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Il Mattino