La caduta del governo Draghi, ecco i progetti a rischio al Sud: l’Alta velocità in frenata

La caduta del governo Draghi, ecco i progetti a rischio al Sud: l’Alta velocità in frenata
Il sorvegliato speciale rimane il Pnrr. O quello che ne sarà dopo la caduta del governo Draghi. È soprattutto qui che il Mezzogiorno rischia di più per via...

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Il sorvegliato speciale rimane il Pnrr. O quello che ne sarà dopo la caduta del governo Draghi. È soprattutto qui che il Mezzogiorno rischia di più per via delle elezioni anticipate. Prevedibile il rallentamento delle procedure e delle riforme per effetto della campagna elettorale, fatte salve le deroghe previste dalla stessa Ue per situazioni del genere. Dalle infrastrutture agli interventi di politica sociale per i ceti più deboli il rischio di frenata esiste. Ma anche al di fuori del Pnrr i dubbi non mancano: il futuro del Patto per Napoli (e le altre città metropolitane), ad esempio, o la proroga al 2023 della Decontribuzione Sud non sembrano affatto scontati. Ecco la posta in palio vista da Sud.



Ennio Cascetta, consigliere del ministro per le Infrastrutture e tra i maggiori esperti di mobilità, va subito al nocciolo della questione. «Per le grandi opere ferroviarie del Mezzogiorno – dice - l’incognita è strettamente legata al rispetto delle scadenze e delle procedure del Pnrr che finora hanno scandito i tempi dell’opera. Il voto anticipato e la pausa che ne deriverà possono rimettere tutto in discussione. La Napoli-Bari, ad esempio: pur essendo tutta finanziata, la nuova linea ad Alta velocità e Alta capacità rischia di pagare i possibili rallentamenti delle procedure agevolative previste dal Piano di ripresa e resilienza. E a maggior ragione potrebbe saltare del tutto la Salerno-Reggio Calabria ad Alta velocità che ha lotti non ancora appaltati e il cui iter è appena iniziato». E sulla quale, va aggiunto, non tutti i dubbi sul percorso definitivo sono stati superati. Quasi inutile aggiungere che con questi chiari di luna torna in soffitta anche il Ponte sullo Stretto la cui proposta di fattibilità progettuale doveva essere esaminata dal Parlamento uscente prima della fine della legislatura. 

L’allarme lanciato attraverso Il Mattino dall’assessore comunale al Bilancio di Napoli Pier Paolo Baretta fa rumore. L’impegno assunto dal governo dimissionario di sostenere il recupero del disavanzo finanziario delle grandi città metropolitane, Napoli in testa, scongiurando il pericolo del dissesto, non ha a che fare con il Pnrr ma è soprattutto un atto politico oltre che contabile. E come tale, impegnando risorse pubbliche in uno scenario nel quale non è improbabile l’esercizio provvisorio del Bilancio, può diventare un boomerang se non sarà riaffermato e condiviso anche politicamente dal futuro esecutivo. Il rischio di un’impasse, anche in questo caso, sembra inevitabile. 

Se è vero che in termini assoluti la spesa in beni di consumo essenziali al Sud costa meno che al Nord, è altrettanto vero che la distanza sul lato del salario reale era e rimane molto alta (20 punti percentuali, calcola la Svimez). E con l’inflazione verso il 9%, che equivale di fatto ad una riduzione del potere d’acquisto, il divario socioeconomico tra le due macroaree sembra destinato a crescere ancora. Per evitare di ampliare la povertà, a prescindere dalla riforma del Reddito di cittadinanza che al momento resta bloccata, occorreranno misure immediate e robuste: il governo Draghi in prorogatio dovrebbe riuscire a vararle nei prossimi giorni per evitare che le ricadute degli aumenti su carburanti e alimentari diventino ancor più insostenibili per i ceti più bassi, concentrati soprattutto al Sud. Ma quanto peserà il clima da campagna elettorale su scelte che sicuramente incideranno sui conti pubblici? 

Ognuna delle sei missioni previste nel Pnrr, riforme comprese, deve destinare il 40% delle risorse al Sud. Ciò significa che se per rallentamenti e problemi per così dire di successione tra governi non si riuscissero a rispettare le scadenze fissate dall’Ue per il 2022 a rimetterci sarebbe soprattutto il Mezzogiorno che a quelle risorse affida la speranza più credibile di ridurre il divario. Lo stesso vale per gli oltre 54 miliardi del Fondo sviluppo e coesione: è incerto se la ripartizione messa a punto dal ministro Carfagna possa approdare al Cipess di fine mese com’era previsto prima della crisi. Se così non fosse, si perderebbe l’occasione storica di assegnare quei soldi (80% al Sud) per le future annualità fino al 2027, evitando che continuino ad essere il bancomat dei governi e dei ministeri com’è accaduto finora. 

Mario Draghi era stato esplicito nelle sue comunicazioni al Senato: il governo deve andare avanti, aveva chiesto, per evitare che migliaia di imprese delle costruzioni si ritrovino con l’acqua alla gola per via dell’errata impostazione del Superbonus. L’incognita rimane ora che il suo gabinetto resta in carica per i soli affari correnti. E, tanto per cambiare, a chiedersi cosa accadrà sono soprattutto le pmi edili del Sud, tornate a rivedere la luce dopo anni di buio provocato dal clamoroso tonfo degli investimenti pubblici nel settore. C’erano soprattutto loro in quel 60% di aziende fragili sotto l’aspetto finanziario censite dal Cerved nel periodo 2019-22: avevano risollevato la testa dopo la pandemia recuperando almeno parte dell’occupazione perduta negli anni precedenti. Ma ora lo spettro del tunnel sembra di nuovo dietro l’angolo. E con esso il rischio di nuove tensioni sociali. 

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Il Mattino